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Ombrello da 2,7 miliardi. Tira aria di tempesta e le banche si preparano

I primi cinque grandi istituti finanziano il fondo che tutela i risparmi degli italiani

Ombrello da 2,7 miliardi. Tira aria di tempesta e le banche si preparano

In tempi di burrasca sui mercati la prudenza non è mai troppa. Lo spread, ieri tornato a quota 300, prefigura scenari da tregenda, soprattutto per il comparto bancario. Le tensioni con la Commissione Ue sulla manovra, il deprezzamento dei Btp che crea buchi nei bilanci delle banche (gli istituti italiani ne hanno in portafoglio per oltre 390 miliardi), il sempre maggiore interesse per la Svizzera come «porto sicuro» per i propri risparmi hanno determinato un'ansia generalizzata nei confronti di qualsiasi cosa accada nel mondo del credito.

La notizia, rilanciata ieri dal Messaggero, di un prestito sindacato di 2,7 miliardi al Fondo interbancario di tutela dei depositi (il consorzio bancario che garantisce i conti correnti fino a 100mila euro) non poteva, perciò, passare inosservata. Con il governo gialloverde che ha già fatto pagare un conto salato ai risparmiatori e alle casse dello Stato (il costo del debito è già aumentato di 1,5 miliardi), la tempistica dell'operazione non poteva non suscitare sospetti. Tanto più che i sottoscrittori iniziali del prestito sono i cinque principali gruppi italiani (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Ubi e Mps).

C'è forse da aspettarsi qualche rovescio? Le parole del vicepremier Matteo Salvini («Siamo pronti a coprire e a sostenere i risparmi degli italiani») non erano solo una petizione di principio? Per il momento si può stare relativamente tranquilli. «Abbiamo valutato l'operazione in una decina di riunioni del consiglio di amministrazione», spiega il presidente del Fondo interbancario, Salvatore Maccarone, ricordando che «la direttiva europea sui sistemi di garanzia dei depositi impone a ciascun istituto consorziato versamenti pari allo 0,5% dei depositi garantiti ogni anno». Nell'ipotesi che un istituto venga posto in liquidazione e che, dunque, sia necessario ricorrere al Fondo occorrerebbero versamenti aggiuntivi. Le regole Ue, inoltre, impongono di dotare in anticipo gli strumenti di salvataggio delle risorse necessarie (e non a crisi in corso come si faceva una volta).

Di qui la scelta del finanziamento, aggiunge Maccarone precisando che «i 2,7 miliardi equivalgono a due annualità di contribuzione al Fondo». Lo stanziamento resta lì e non incide sui bilanci delle banche. Occorre, infatti, sottolineare che eventuali versamenti aggiuntivi al Fondo impatterebbero negativamente sul conto economico. La formula del finanziamento, invece, è più conveniente poiché, in caso di utilizzo della linea di credito (cui parteciperanno anche altri istituti oltre ai cinque promotori), questa verrebbe rimborsata prioritariamente nella liquidazione degli attivi delle banche salvate.

I correntisti possono stare tranquilli, dunque? La risposta, al momento, non può che essere affermativa. I depositi sono tutelati fino a 100mila euro e, in caso di salvataggi tramite bail in o di burden sharing (come ha tristemente insegnato la storia recente) i primi a soffrire perdite sarebbero gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati. Solo in casi gravissimi patirebbero gli obbligazionisti ordinari e la parte eccedente i 100mila euro dei depositi.

Vale la pena ricordare che il sistema bancario italiano ha contributo con 12 miliardi ai salvataggi degli ultimi tre anni.

Se oggi basta poco a suscitare il panico, la responsabilità è anche di coloro che, giocando con i numeri della manovra, giocano con i nostri risparmi.

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