Cronache

Omicidio odioso, sentenza esemplare

Omicidio odioso, sentenza esemplare

A Milano il pirata della strada che il 30 aprile uccise un uomo passando a tutta velocità con il semaforo rosso è in carcere da quasi due mesi e affronterà il processo per omicidio stradale in stato di detenzione. Invece l'attore Domenico Diele, che venerdì notte sulla Salerno-Reggio Calabria ha ammazzato una donna che viaggiava in scooter, è già a casa, agli arresti domiciliari, con l'unico vincolo di un braccialetto elettronico. Procura che vai e giustizia che trovi, insomma: a Salerno hanno avuto compassione del bell'attore, nonostante avesse inanellato una serie di aggravanti una peggio dell'altra (guidava drogato, senza patente e senza assicurazione, e intanto telefonava). Ma in fondo il carcere in attesa di giudizio è un rimedio che andrebbe usato solo in casi estremi. E quindi va bene che Diele sia a casa, soprattutto se la Procura di Salerno si impegnerà a chiudere rapidamente l'indagine e porterà l'attore a giudizio immediato. D'altronde c'è ben poco su cui indagare. Il problema è: e poi? Quando (si spera presto) si terrà il processo, come verrà trattato Diele? Dopo un'attesa interminabile, l'Italia si è dotata da poco più di un anno di una legge che punisce con durezza i comportamenti criminali di chi si mette al volante come davanti a un videogame, senza rispetto delle regole né della vita del prossimo. Contro questa legge si sono sollevati innumerevoli critiche da avvocati e da magistrati. Ma è una legge della Repubblica, dettata non dalla necessità di soddisfare le aspettative di sanzione dei familiari delle vittime (che sono legittime, ma non devono essere il criterio ispiratore del legislatore) ma una elementare necessità dissuasiva: necessità, checché se ne dica oggi, non soddisfatta dalle vecchie norme. L'episodio di cui Diele si è reso protagonista sembra fatto su misura per incarnare i comportamenti egoisti e superficiali che tanti lutti seminano: non ha la patente ma si mette al volante perché, poverino, deve andare al matrimonio di una cugina in Calabria; per tenersi su «pippa» un po', e intanto telefona non si sa a chi... L'aspetto straordinario della vicenda è che, grazie alla sua (relativa) notorietà, nei commenti che circolano in queste ore Diele viene accomunato nella commiserazione alla donna che ha ammazzato: «Due vite distrutte», e via di questo passo. Mentre lui non è un vittima ma un criminale, e l'unica vittima è la povera donna che ha avuto la sola colpa di trovarsi sulla sua strada. Dare a Diele il massimo della pena non ridarà la vita a Ilaria Dilillo, e non impedirà che altri scriteriati si mettano domani al volante in condizioni analoghe. Ma di condanne come questa c'è bisogno perché si faccia progressivamente largo nel comune sentire la consapevolezza che comportandosi in questo modo non solo si mette a rischio la vita degli altri ma si rovina anche la propria esistenza.

Dove non basta il buon senso, arrivi la paura della galera.

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