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Padoan: "Debito da tagliare". E incolpa lo spread "sgarbato"

Il ministro dell'Economia irritato per l'avvertimento dei mercati. Brunetta (Fi): è l'arma di ricatto della Ue

Padoan: "Debito da tagliare". E incolpa lo spread "sgarbato"

Toh, guarda chi si rivede. Lo spread è tornato, lo spread è cresciuto e, come dice con una battuta l'eurodeputato forzista Maullu, «ne sentivamo la mancanza... È un ricatto a orologeria».

Ben lo ricordano i protagonisti dell'ultimo governo incoronato da una maggioranza elettorale. Archiviati i successori di Berlusconi (Monti, Letta, il primo Renzi), i benvoluti dai padroni della Ue che viaggiano sulla direttissima Berlino-Francoforte-Bruxelles, la «risalita» del temutissimo differenziale con i titoli di Stato tedeschi sembra volerci lanciare nuovi e inquietanti avvertimenti. «Le vicende di mercato di questi giorni e di queste ore ci ricordano in modo un po' sgarbato che un Paese con un alto debito non possa non occuparsi della sua discesa», fa suo il monito il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Ma dicendo soltanto un pezzo della verità risaputa da decenni - cioè che il nostro debito pubblico è fuori controllo -, e tralasciando volentieri i (pochi) sforzi fatti dal governo Renzi, cioé da lui medesimo, per abbassarlo. Anzi: soprattutto le occasioni perdute in virtù di stucchevoli quanto infruttose elemosine elettorali.

Certo, sarebbe ora di farlo scendere sul serio, l'enorme debito, così da togliere l'Italia dal novero dei Paesi che richiamano speculatori finanziari ogni qualvolta la situazione si faccia confusa o delicata. Però anche Padoan sa bene che l'impennata dello spread dei giorni scorsi (ieri il differenziale con i Bund s'è stabilizzato intorno a quota 200 punti), se rischia comunque di aggravare i conti di future manovre, è determinato da cause ben diverse e avrà effetti politici del tutto opposti a quelli che portarono alla caduta del governo in carica nel 2011. «Prematuro trarre conclusioni dall'andamento dello spread, che si sta muovendo in tutti i Paesi con lo stesso tono», osservava ieri il presidente dell'Ufficio parlamentare del bilancio, Giuseppe Pisauro. «Resta un grande imbroglio», incalzava il capogruppo azzurro alla Camera, Renato Brunetta, che lo considera «l'arma di ricatto che l'Europa tedesca rivolge ai governi non più amici o che vuole condizionare». Se l'«avviso» è stato ben captato da Padoan, chiare sono state le risposte: da un lato, la rassicurazione dei mercati sull'«impegno del governo per le riforme strutturali» (si attende qualche risultato anche da un nuovo piano di gestione del patrimonio immobiliare pubblico), dall'altro su un «dialogo con la Ue che continua» e che garantirà «margini aggiuntivi per investire nella ricostruzione post-terremoto», nonché «altre risorse a un governo che rispetta le regole».

Dunque l'effetto politico dell'impennata dello spread sembra quello di «raffreddare» ulteriormente una corsa dissennata verso le urne. «Il Paese è stremato», concorda Brunetta paventando un «muoia Sansone con tutti i filistei dettato dall'avventuristica voglia di voto di Renzi».

A scuotere i mercati non è infatti la situazione italiana, bensì una congiuntura internazionale drammatica nella quale l'euroburocrazia di Bruxelles rischia di veder naufragare le proprie fragili certezze nella morsa prefigurata dall'asse Trump-Putin. Non sono semplici fattori finanziari, per lo più interni alla Ue come nel 2011, a scaricarsi nella «febbre da spread». Sotto tiro c'è invece una Francia che si appresta ad andare alle urne decidendo sotto la minaccia della Francexit evocata da Marine Le Pen. Poi l'incertezza sulle condizioni della Brexit e, per la prima volta dopo decenni, la stessa Germania che diventa focolaio d'instabilità, con la Merkel che si scopre superata dal socialdemocratico Schulz negli ultimi sondaggi.

Si può allora benissimo parlare anche di «colpi di coda» di una stagione giunta alla fine, alla temuta ora del tramonto.

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