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Il padre padrone Grillo mollato dai giustizialisti: "M5S partito invotabile"

Anche la sinistra girotondina di Micromega sconfessa il movimento: "Superato il limite"

Il padre padrone Grillo mollato dai giustizialisti: "M5S partito invotabile"

Da grillini a giacobini, il punto è questo. Dall'uno vale uno, all'ukase zarista. Prego? L'editto che fu degli Imperatori di Russia e poi divenne comune in molti regimi dell'Est. Ma questa è anche la storia di un ripensamento. Un altro. Il protagonista è un signore che di solito indossa sgargianti bretelle rosse. Altri dati salienti: venne espulso dai giovani del Partito Comunista, perché militava anche nella Quarta Internazionale trotskista. Trotskista lo rimase per un po', poi fu affascinato da Bettino Craxi, aderì al Pds di Achille Occhetto. Il 19 novembre di un anno fa, nel mese dei Morti, disse in un'intervista a Repubblica di essere un elettore del Movimento Cinque Stelle.

In tre parole Paolo Flores d'Arcais, filosofo e molte altre cose, compresa la direzione della rivista MicroMega. È da qui che parte l'ultima retromarcia di quella sinistra delusa che si era fatta affascinare da Beppe Grillo e da quel pensiero della «volontà generale». Doveva, il MoVimento in rete, ispirarsi al contratto sociale di Rousseau. Si è trasformato nel Terrore di Robespierre. Il filosofo Flores d'Arcais lo ha capito un paio di mesi fa, meno di cento giorni dopo aver dichiarato il suo voto pentastellato. Esattamente due mesi prima dell'«ultimo colpo di Stato» (citazione dei grillini genovesi), quello che ha cancellato la candidatura di Marika Cassimatis e fatto vincere il tenore Luca Pirondini.

È troppo, Flores d'Arcais si ribella, scrive che ormai «il M5S è un movimento carico di ambiguità, contraddizioni, difetti e magagne: predica uno vale uno ma poi due vale più di tutti messi insieme (e uno dei due per merito dinastico)», con chiaro riferimento a Beppe Grillo e a Casaleggio junior, Davide. Quindi l'analisi si fa ancora più dura: «Se insiste nella contraddizione tra valori proclamati e azione politica, per il M5S l'implosione è inevitabile». Ancora: «Il carattere democratico di un voto dipende dalla caratura della discussione, dalla sua ampiezza». Con Grillo mica funziona così, «se va bene si realizza un casting da show televisivo alla De Filippi».

C'è un post scriptum, il filosofo commenta anche il caso del capoluogo ligure. Sostiene: «Grillo è andato oltre. Ha annullato le comunarie di Genova, che si tenevano con un sistema complicato, magnificato da Grillo come il migliore e da prendere a modello, non appena il risultato si sia scostato da quello previsto (non ha vinto il suo preferito). A questo punto sarebbe il caso che il M5S ufficializzasse nel suo non-statuto che i candidati li sceglie Grillo, e così per ogni altra nomina. Non sarebbe la tanto strombazzata democrazia-diretta-web, sarebbe almeno un'oncia di onestà». Ricordate il punto di partenza? Flores d'Arcais ci torna, per un istante: «La democrazia nei partiti è sempre stata ed è, in realtà, una forma di cooptazione. Nel Pci si chiamava centralismo democratico, nel Psi era una democrazia di correnti (prima di Craxi, corretta dal 1980 con dosi massicce di cleptocrazia), nella Dc una poliarchia di clientele. Vorrà dire che il M5S lancia la formula del centralismo monocratico, o più esattamente della mono-e-tanticchia-crazia, a seconda di quanto potere volta a volta Grillo decida di conferire a Casaleggio jr». Ora l'ultima citazione storica: «L'ukase defenestratorio di Genova costituisce la goccia che fa traboccare il vaso: nemmeno il M5S è più votabile». Ci ha ripensato Flores d'Arcais, come il filosofo Paolo Becchi o il compagno Valentino Parlato. Con il giurista Stefano Rodotà è finita a piatti in faccia, a botte di «ottantenne miracolato».

Meglio che ad Amici, l'originale.

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