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Il paese dei balocchi cancellato da Internet Nessuno compra più nei negozi di giocattoli

Troppo forte la concorrenza dell'e-commerce Il colosso americano «Toys'R'Us» è l'ultimo a dichiarare fallimento. Così finisce un mondo

Il paese dei balocchi cancellato da Internet Nessuno compra più nei negozi di giocattoli

Ci sono sogni che possono fallire perché nessuno li sogna più. Prendete i giocattoli: forse si usano ma non si comprano, almeno non in un negozio. I cavalli a dondolo sono in scuderia, le bambole non le pettina nemmeno Pierluigi Bersani, e i soldatini sono in congedo con le armi spuntate.

Capita così che la più grande catena al mondo di negozi di giocattoli, Toys'R'Us (scritto con la R rovesciata), fallisca come si fallisce a Monopoli. Senza passare dal via. Il colosso statunitense - 1600 negozi in tutto il mondo tra i quali l'immaginifico store di Times Square a New York, diversi in Italia anche con il marchio «Imaginarium», 64mila dipendenti in tutto - ha depositato al tribunale statunitense la documentazione per la bancarotta assistita. Una procedura che si chiama «Chapter 11» e con la quale l'azienda di Wayne, nel New Jersey, punta a sanare i 400 milioni di dollari di debito maturati in un anno e in scadenza e a ristrutturare i 5 miliardi di buco consolidato. Che le cose non andassero per il giusto verso del resto era chiaro sin da quando, nei giorni scorsi, le agenzie di rating come Standard&Poor's e Fitch avevano tagliato la loro valutazione sulla società. E quando si muovono quei signori la cosa è seria, serissima.

La chiusura al momento non dovrebbe interessare i negozi europei. Ma il futuro è comunque fosco, a causa della concorrenza di Amazon e delle altre piattaforme per la vendita online, che nel Paese dei balocchi ha evidentemente colpito più duramente che in altri reami. Nessuno acquista più un giocattolo in un negozio, probabilmente nemmeno Babbo Natale, anche perché gli animalisti lo hanno da tempo messo nel mirino perché stressa quelle renne più che un botticellaro romano con il suo estenuato cavallo.

Toys'R'Us, dunque, si arrende. Certo, la catena fondata una sessantina di anni fa da Charles Lazarus, promette un giorno di tornare più forte che prima. Ma nessuno ci crede, nemmeno loro, perché con l'orologio non si bara neppure per gioco. Il declino dei santuari del balocco era evidente già da tempo e aveva conosciuto altre dolorose tappe. Come quando nell'estate 2015 chiuse di punto in bianco FAO Schwarz, il negozio di giocattoli più celebre del mondo che del mondo si trovava al centro: sulla Fifth Avenue di New York, a due passi da Central Park e da Tiffany, quello dove Audrey Hepburn faceva colazione. Un luogo mitico, in cui si andava anche solo per vederlo e non comprare nulla, e pure senza bambini, tanto bambini si diventava immediatamente una volta entrati, guardando peluche grandi come case e case di bambole grandi come castelli. FAO Schwarz era stato acquisito qualche anno prima dalla stessa Toys'r'Us, che non era riuscita a evitare lo sfratto, baracca e burattini, in questo caso letteralmente, di questa catena che aveva fatto giocare l'America e il mondo per 153 anni prima di arrendersi al costo dell'affitto come un pensionato sociale. Ok, il negozio occpava i primi piani del lussuoso General Motors Building e non un condominio di Quarto Oggiaro, ma il risultato alla fine è stato lo stesso. Ciao.

Adesso dei grandi negozi dedicati ai sogni dell'infanzia resiste così soltanto Hemleys, la catena britannica che ha il suo flagship store a Londra, in Regent Street, un luogo sempre affollato malgrado abbia cinquemila metri quadri spalmati su sette piani di giochevolezza.

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