Politica

Pagati per non lavorare, fanno causa alla Regione

Quattordici impiegati stipendiati per 16 anni senza fare nulla. Chiedono di essere risarciti

Gianpaolo Iacobini

Catanzaro Stipendiati senza lavorare, fanno causa alla Regione che li paga ma non li ha mai utilizzati.

Se il paradosso fosse roba da guinness dei primati, il nome della Regione Calabria andrebbe iscritto d'ufficio nel libro dei record. Del resto, è innegabilmente un'impresa eccezionale quella messa a segno: essere citati in giudizio da 14 dipendenti tenuti a stipendio per 16 anni senza che mai in tutto questo tempo - gli stessi svolgessero alcun tipo di lavoro. E che ora rivendicano un risarcimento per l'inattività, le perdute chance di carriera e persino per lo stress patito. Una storia diversa da tante altre all'apparenza simili, come quelle moltiplicatesi all'indomani della legge Delrio con la finta abolizione delle province. Lo scorso gennaio, ad esempio, fece rumore il caso degli 85 ex appartenenti alle disciolte Polizie provinciali che in Puglia, passati alle dipendenze della Regione, dopo aver atteso per quasi 4 anni l'assegnazione di compiti e responsabilità, stanchi di non aver nulla da fare si rivolsero alla Cgil per aprire una vertenza sindacale. Stavolta c'è di più. C'è la chiamata in causa davanti ad un giudice del lavoro - con udienza fissata il 24 Gennaio - per vedersi riconosciuti ruoli e funzioni, ma pure un risarcimento da un milione e mezzo di euro, 102.000 a testa.

La vicenda, portata a galla dal Corriere della Calabria, prende le mosse da una legge regionale che nel 2001 stabilì la creazione, attraverso un concorso per titoli ed esami, di «una struttura ausiliaria di supporto permanente ai gruppi ed alle strutture speciali». Ultimate le selezioni, i vincitori furono assunti con contratto a tempo pieno ed indeterminato, ma mai i vari organi del Consiglio regionale hanno inteso avvalersi della struttura ausiliaria permanente, preferendo invece affidarsi alle strutture proprie, formate da personale di nomina fiduciaria, sebbene a tempo determinato. Più di 15 anni non sono bastati per sanare la frattura. Così, alla fine, il bubbone è esploso, sotto la pressione indotta dalla scelta della presidenza del Consiglio regionale, risalente al novembre 2017, di inserire gli ex ragazzi del 2001 nella dotazione organica ma senza precise funzioni lavorative e con la prescrizione di attestare la presenza in servizio attraverso l'utilizzo del badge, fino a quel momento non obbligatoria. Deciderà adesso il Tribunale di Reggio Calabria: i 14 reclamano l'assegnazione delle mansioni per le quali sono stati assunti, un lauto rimborso per le indennità non percepite e la progressione verticale non maturata, il ristoro della mancata inattività.

Quest'ultima, in particolare, sarebbe alla base si legge nel ricorso di «sindrome ansioso-depressiva», origine di una presunta riduzione del 10 per cento della capacità di lavoro.

Perché nella terra dei primati assurdi (e della disoccupazione, quella veramente da record) è noto anche alle pietre: essere pagati per non far nulla stanca.

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