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Pakistano espulso nel Milanese Gli inquirenti non hanno dubbi «Pronto a fare un attentato»

L'uomo, 26 anni, è stato individuato a Vaprio d'Adda Fa il magazziniere, voleva colpire una rivendita di alcolici

Luca Fazzo

Milano Era pronto a partite per il fronte. Ma era anche pronto a colpire in Italia, a trasformarsi in nome dell'Isis in un giustiziere contro gli infedeli. Da mesi il Ros dei carabinieri e la Procura di Milano lo tenevano sotto osservazione, ne hanno seguito praticamente in diretta la deriva costante verso un radicalismo sempre più violento. Alla fine hanno dovuto scegliere: continuare a tenerlo monitorato, con il rischio che passasse dalle parole ai fatti senza essere fermato, come i protagonisti dei massacri in Francia; o intervenire subito, anche prima che passasse all'azione, senza poterlo arrestare ma proponendolo per l'espulsione dall'Italia.

Alla fine è stata scelta la seconda strada. E da sabato mattina un nuovo nome si aggiunge all'elenco degli estremisti islamici espulsi dall'Italia perché sospettati di avere legami ideologici e operativi con il Califfato. Erano 102 fino all'altro ieri, secondo la statistica presentata in Senato dal ministro degli Interni Angelino Alfano. Il numero 103 è un pakistano di 26 anni, prelevato all'alba dal Ros nella sua casa di Vaprio d'Adda. Siamo al confine tra le province di Milano e Bergamo, un territorio costellato di piccoli centri, terreno ideale per la mimetizzazione di aspiranti terroristi. Nel comune confinante, Pozzo d'Adda, in marzo era stato individuato ed espulso un altro fiancheggiatore dello stato islamico, un cittadino albanese pronto a partire per il fronte. E proprio negli ambienti islamici albanesi i carabinieri hanno individuato i contatti operativi del pakistano fermato sabato mattina, a riprova che il credo integralista consente di scavalcare senza difficoltà barriere di etnia e di linguaggio.

Il pakistano - in Italia regolarmente dal 2003, sposato, magazziniere in un negozio di articoli sportivi - si trova attualmente nelle mani dei carabinieri, in attesa che questa mattina il tribunale di Milano decida se convalidare il decreto di espulsione emanato nei suoi confronti dal Viminale. Ma chi ha potuto leggere le carte dell'indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, riferisce che è assai improbabile che il giudice possa ritenere insufficienti gli elementi raccolti a carico del ventiseienne. Intercettando il computer e lo smartphone dell'uomo, il Ros non ha trovato traccia soltanto della deriva violenta dell'operaio, ovvero del «crescente processo di radicalizzazione in chiave jihadista dello straniero che, in più occasioni, ha manifestato l'adesione ideologica allo Stato Islamico e la condivisione delle azioni commesse da diverse organizzazioni terroristiche della galassia jihadista». Fin qui, si tratterebbe solo di parole: pericolose, e penalmente rilevanti, ma solo parole. In questo caso c'è di più. Il pedinamento informatico dell'uomo ha consentito anche di avere la certezza che il fanatico fosse pronto a passare ai fatti. E anche la disparità di obiettivi è, per gli investigatori, un motivo d'allarme. L'uomo poteva colpire da solo o con al massimo un complice, colpendo una rivendita di alcolici della zona. Ma era anche pronto a partire per il fronte, e da tempo lavorava per convincere la moglie a seguirlo. È il riscontro di quanto emerge anche nelle indagini sugli attentati in Francia: i «lupi solitari», i terroristi della porta accanto pronti a colpire nello stesso territorio che li ospita, in realtà solitari non sono quasi mai, perché hanno contatti e punti di riferimento con la struttura operativa. Il pakistano di Vaprio poteva scegliere di colpire il bar degli infedeli sotto casa, «so dove trovare il materiale», diceva al telefono. Ma aveva anche agganci sufficienti per trovare la strada verso la Siria.

Il ritratto che emerge dalle carte dei Ros non è quello di uno dei tanti sbruffoni da Facebook, come alcuni degli ultimi inquisiti, pronti a lanciare proclami di morte dalla tastiera del computer ma anche a rimangiarsi tutto appena arrestati, «dicevo per scherzare». Il pakistano proclamava poco e studiava molto. Si indottrinava su Dabiq, la rivista ufficiale del Califfato.

E nello stesso scaricava manuali operativi per armi ed esplosivi.

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