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La parabola di Dall'Orto. Da uomo di Renzi a beniamino dei grillini

Voluto dall'ex premier al vertice della Rai, ora è stato ripudiato. E M5s l'ha «adottato»

La parabola di Dall'Orto. Da uomo di Renzi a beniamino dei grillini

Persino in un'azienda che ne ha viste e combinate (di tutto, di più: mai slogan più azzeccato), dove ogni porta è girevole e ogni dirigente ha gli armadi sfavillanti di scheletri ma anche di casacche pret-à-porter, persino alla Rai insomma, il caso del dg Antonio Campo Dall'Orto rischia di passare agli annali. Arrivato il 6 agosto 2015 per condurre il repulisti renziano, preferibilmente senza prigionieri né martiri, potrebbe lasciare il prossimo 4 maggio, data che nella cabala napoletana significativamente designa 'o patrone 'e casa, ovvero la dolorosa scadenza di pagamento della pigione o, in alternativa, lo sfratto, il ritorno in possesso del (legittimo?) padrone.

Più o meno è quanto sta capitando al dg Dall'Orto, che deve solo decidere se lasciare o resistere. In questo caso, entrato renziano uscirà da viale Mazzini addirittura grillino, considerate l'annunciata difesa dei Cinquestelle, in odio a Renzi, e le velenose accuse che gli vengono rivolte dai pasdaràn del suo ex amico fiorentino. In realtà, ebbe a dire il Nostro, «Renzi non lo sento da un anno»: ma non è certo se si trattasse di un semplice schermirsi o della testimonianza plastica di un isolamento crescente. Enormi i capi d'imputazione, a partire dal fallimento dell'opera di defenestrazione, almeno per come l'avevano immaginata dalle parti del Pd, per finire con l'inchiesta di Report sul cosiddetto salvataggio dell'Unità, che Dall'Orto non è stato in grado (o non ha voluto) bloccare. A lui vengono imputate per somma infamia l'avanzata del trash in tivù così come di trasmissioni populiste; dall'addio di Porro e della Berlinguer ai conti in disordine, dal tetto ai mega-stipendi alle tante leggerezze nelle assunzioni, specie di «esterni» (nonostante la Rai già conti 13mila dipendenti, dei quali 1700 sono giornalisti e trecento megadirigenti con megastipendi fino a 500mila euro).

Eppure a questo manager veneto di 53 anni, convivente con una bellissima attrice indo-tedesca dalla quale ha avuto due figlioli che frequentano scuole montessoriane («Ora fa la mamma e disegna gioielli», ha detto di lei in un'intervista), a questo cultore della «funzione sociale della tivù», che voleva fare il calciatore ma fu frustrato da un infortunio e dal padre che disse di no al Vicenza, il finale da prete spretato, da monaco scomunicato sembrerebbe andare assai stretto. «Sono di quella generazione che ogni pomeriggio aspettava la Tv dei Ragazzi», ha detto di sé, e di sicuro non immaginava la ferocia nascosta nei giovanotti di un paio di generazioni dopo. Soprattutto perché, in una specie di versione grottesca della Nemesi, è stato proprio Dall'Orto a credere nella tivù dei giovani e a nutrirli ai tempi di Canale5 (è stato il vice di Gori), ma soprattutto di MTV. Anche se Renzi non si può definire strutturalmente un Millennials, essendo nato un lustro prima degli Ottanta, si può ben dire che sia stato proprio lui a fare di un certo pressappochismo giovanile, di una certa moderna sveltezza il trampolino per la scalata al potere. Da alfiere della Rottamazione in Rai, Campo Dall'Orto ora rischia di diventare bandiera non già di qualche vecchio gattopardo, bensì dei temuti post-rottamatori grillini, che tanto l'hanno criticato in passato. Cantato dal vate Giuliano Ferrara ai tempi della nomina renziana come «dirigente libertario e frecceriano», il dg di viale Mazzini si ritrova ora difeso nel Cda unicamente da Carlo Freccero, che quasi quasi si giustifica: «I renziani lo hanno mollato, gli hanno scatenato contro una guerra personale e io posso fare ben poco per aiutarlo, visto che sono da solo». Secondo Freccero, eletto in quota M5s, i grillini non vogliono farlo andar via perché temono che arrivi «uno peggiore, un dittatore-cameriere di Renzi... per un'informazione a sfumatura alta, come la pettinatura del dittatore nordcoreano».

Trevigiano di formazione internazionale, passato per Publitalia e Mediaset, Dall'Orto ha creduto in Berlusconi nel '94 e puntato su Veltroni nel 2008.

«Fatale gli fu la Leopolda, e chi la promosse», potrebbe ben ricordare l'epitaffio.

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