Politica

Paralizzati da anni, ora camminano

Le storie di Kelly, Thomas e Jeff guariti dalla tecnologia medica

Enza Cusmai

Kelly, Thomas, Jeff, tre giovani miracolati dalla tecnologia medica. Erano paralizzati, inchiodati alla sedia a rotelle per un incidente o una brutta caduta. Erano dati per spacciati come accade a chiunque si danneggi il midollo spinale. Invece, eccoli lì, nei filmati diffusi in tutto il mondo, che si alzano e camminano. Ancora aiutati con supporti, titubanti, un po' insicuri, ma camminano e sorridono ad una nuova chance di vita insperata. E tutto grazie ad un impianto elettrico fissato al midollo spinale che permette di aggirare la lesione, stimolando i nervi inferiori della schiena. In questo modo i segnali provenienti dal cervello raggiungono i muscoli interessati e la persona riesce a controllare di nuovo i suoi movimenti.

La tecnica è tutta made in Usa ed è descritta tecnicamente su Nature Medicine New England Journal of Medicine. A profani bastano le dichiarazioni degli interessati per capire che la strumentazione tecnica adottata dai gruppi di ricerca statunitensi della University of Louisville, in Kentucky, e della Mayo Clinic, in Minnesota, ha centrato il segno.

Kelly Thomas, 23 anni, giovane amazzone e supersportiva, ha sgranato gli occhi quando è riuscita ad alzarsi dalla sedia a rotelle. «Oh, my God» ha dichiarato incredula. «Partecipare a questo studio - ha poi detto alla Bbc - ha cambiato la mia vita, mi ha dato una speranza che non pensavo possibile da realizzare dopo il mio incidente d'auto. La prima volta che ho mosso alcuni passi da sola è stato indimenticabile». Anche Jeff Marquis, 35 anni, rimasto paralizzato dopo un incidente in mountain-bike è tra i pazienti tornati a camminare; ma per ora, si muove sostenendosi a due sbarre o con l'aiuto di persone che gli tengono le mani per mantenere l'equilibrio. Il terzo paziente, il 29enne Jared Chinnoch, cinque anni fa aveva lesionato la colonna vertebrale in un incidente sulla neve. Ora cammina per oltre 100 metri, sostenendosi solo con un deambulatore.

Il neurochirurgo, Kendall Lee, che ha co-guidato il gruppo di ricerca della Mayo Clinic è soddisfatto ma cauto: «Siamo ancora in una fase molto precoce della ricerca, anche se di certo questo dà speranza alle persone affette da paralisi». «É un ottima tecnica commenta Sandro Iannaccone, primario di Neuroriabilitazione dell'Ospedale San Raffaele di Milano L'unico problema è dare impulsi modulati in modo corretto: se sono troppi il paziente rischia di cadere, se sono pochi non cammina.

Ma ovviamente queste sono applicazioni di tipo sperimentale che vanno meglio tarate».

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