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Il pm Rossi e quello "sbaglio" al Csm: "Scordare l'indagine su papà Boschi"

Parla per la prima volta il procuratore di Arezzo: "Può darsi abbia commesso un errore, ma non ho mentito. Conoscere qualcuno significa frequentarlo: io l'ho indagato. Come potrei ora volerlo favorire?"

Il pm Rossi e quello "sbaglio" al Csm: "Scordare l'indagine su papà Boschi"

Arezzo - «Come sta?». «Stanco. Capisco la rilevanza politica di tutta questa storia, ma io che c'entro? Non sono abituato a finire sui giornali per queste cose, è la prima volta per me. Questa è una piccola procura e tutto questo clamore mediatico non fa bene». Il procuratore capo del tribunale di Arezzo, Roberto Rossi, titolare dell'inchiesta sul crac di Banca Etruria, dopo settimane di silenzio ci affida la sua versione dei fatti su questa marea nera che lo ha investito.Mite, calmo, riservato, non alza mai la voce con nessuno. Malgrado il fango che è stato buttato su di lui, non perde il buon umore: «Certo che con questo cognome, sarebbe meglio non parlassi con lei (ride)». È una persona perbene, che ha sempre fatto il suo lavoro con coraggio e dedizione, nel rispetto delle leggi. Infatti ad Arezzo, da quando è arrivato lui nel lontano 1998, le sue inchieste sono state trasversali e hanno portato a condanne di esponenti politici a destra e a sinistra.«Come si fa a credere che io abbia favorito Pierluigi Boschi?», si domanda. Toglie gli occhiali, apre e richiude l'agenda, picchietta sulla scrivania con la penna. «Mi hanno detto di tutto, mi hanno messo in mezzo a una storia che sta assumendo tratti surreali. Dico a lei quello che ho detto davanti alla prima commissione del Csm (il 28 dicembre ndr) per fare chiarezza una volta per tutte. La domanda è stata se io conoscessi qualcuno della famiglia Boschi. Ho risposto che avevo visto l'attuale ministro qualche volta ad Arezzo, in occasioni pubbliche, già quando era solo parlamentare ma non più di buongiorno ministro, e che non ho mai conosciuto né incontrato gli altri membri della famiglia. Vede, in quella sede venni convocato per valutare una eventuale mia incompatibilità a portare avanti l'inchiesta sulla banca, per cui ho ritenuto giusto limitarmi a dire questo. Può darsi che abbia sbagliato, non lo so, ma non ho certo mentito o cercato di nascondere alcunché. Ci mancherebbe. Guardi, di politici nazionali conosco solo Maurizio Bianconi, e giusto perché prima faceva l'avvocato ad Arezzo».La gogna gli è stata messa al collo dopo che si è venuto a sapere che nel 2010 aveva indagato papà Boschi per la compravendita sospetta di una fattoria in provincia di Arezzo. «Ma si figuri che nemmeno ricordavo di aver disposto una perquisizione a casa sua. Consideri che allora non era nessuno, cioè non era il padre di un ministro. Il suo nome l'ho letto solo sulle carte. Poi finì tutto con l'archiviazione perché non c'erano elementi per fare altro. Anche i componenti del cda dell'ex Banca Etruria stiamo indagando, ma non per questo li conosco personalmente. Infatti non ho fatto menzione nemmeno di loro. Mi pare la stessa cosa».Il tono della voce si fa più basso ogni volta che pronuncia quel cognome, Boschi, come se non avesse voglia di sentirlo. «Per me conoscere qualcuno significa frequentarlo, andarci in vacanza insieme, a cena fuori. O almeno parlarci una volta, io non l'ho mai fatto con il signor Boschi. Anzi io l'ho indagato. Come potrei volerlo favorire?».Il fatto di essere stato consulente tecnico per il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi del governo Letta e Renzi, non l'ha agevolato. «Quell'incarico mi serviva, come fanno molti miei colleghi, per valorizzare il mio curriculum. Invece è stato detto che sono stato il consigliere di Renzi. Io Renzi non l'ho neanche mai conosciuto perché ad Arezzo non è mai venuto. Mi limitavo a dare pareri tecnici su norme di leggi che mi venivano mandate per mail, si figuri. Sulla depenalizzazione, sui reati tributari, illeciti. Io davo il mio parere giuridico, tutto qui. L'ho fatto 7-8 volte».Quell'incarico è scaduto naturalmente il 31 dicembre scorso e non rinnovato. «Dopo quello che è successo che valore può avere adesso quella consulenza secondo lei? Mi ha solo danneggiato. Anzi, ora posso solo sperare che venga dimenticata da tutti». Per il momento né il Csm né il procuratore generale di Firenze si sono fatti vivi con lui. «Non sono stato convocato. Ma se dovrò di nuovo essere ascoltato risponderei senza problemi come ho già fatto. Trovo che non ci siano ragioni per un trasferimento e men che mai per una sanzione disciplinare. Ho fatto sempre e solo il mio dovere nel rispetto delle leggi».Attorno a Rossi, sulla sua scrivania e in un'altra in vetro che dovrebbe servire per le riunioni, montagne di fascicoli di tutti i colori. Alcuni dei quali riguardano Banca Etruria. A tre dei suoi sette sostituti, i pm Claudiani, Maggiore e Masiello, è stato affidato l'oneroso compito di studiare le oltre 50 denunce per truffa già arrivate e di disporre gli interrogatori di ognuno degli obbligazionisti per spiegare perché ritengono di essere stati truffati. «Dobbiamo appurare se si configura il reato di truffa rispetto alla qualità e natura dei prodotti e se la loro vendita è frutto di iniziative estemporanee, ma ne dubito, o direttive provenienti dalla sede centrale». Il giorno cruciale sarà l'8 febbraio quando si riunirà il collegio fallimentare che dichiarerà l'insolvenza di Banca Etruria. Dopodiché la procura avvierà l'inchiesta per i reati penalmente rilevanti di bancarotta a carico degli ex amministratori.«Sa che una volta questo tribunale era un ospedale? Un sanatorio per l'esattezza. Le finestre di questa stanza venivano aperte per far prendere aria ai malati», racconta soddisfatto Rossi.

Forse quando l'aria di Arezzo non era ancora stata inquinata da quelli che oggi hanno rovinato il buon nome di questa bellissima città.

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