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Quel Parlamento svuotato dal web

Quel Parlamento  svuotato dal web

Ah, sì, ci sarà anche un passaggio in Parlamento sulla tragedia di Genova. Con comodo, come dinanzi a un adempimento burocratico che nessuno si sogna di anticipare prevedendone l'irrilevanza. Lunedì prossimo, ormai a quasi due settimane dai fatti, il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli accenderà il microfono davanti alle «commissioni competenti» delle Camere. Si aggiusterà gli occhiali, consulterà i suoi appunti e, grosso modo, riassumerà: «In data 14 agosto, alle 11,30, è crollata una sezione di 200 metri del viadotto del Polcevera di Genova (altresì conosciuto come Ponte Morandi) dell'autostrada A10, inaugurato nel 1967. Al momento del crollo vi erano, sul ponte, 35 autovetture e tre camion. Il bilancio attuale è di 43 vittime e 14 feriti». Poi maggioranza e opposizioni si sfideranno sulle rispettive risoluzioni, ma senza fretta: si voterà soltanto il 4 settembre.

Nella nuova «socialcrazia» instaurata dal governo Cinque Stelle-Lega, appaiono obsoleti i riti obbligati che scandiscono la grammatica istituzionale. Di colpo suscita al massimo un'alzata di spalla quel grido di passione civile che ogni opposizione lanciava all'indirizzo del premier di turno: «Il governo riferisca subito in aula». Riferire che cosa, ormai? Non sarà certo il malcapitato Toninelli a svelare anticipazioni sull'inchiesta o altri clamorosi retroscena sulla tragedia di Genova. Nella testa dell'opinione pubblica, alimentata da post, tweet e video del crollo ripreso da ogni angolazione, tutto ormai è chiaro. La lista dei buoni e dei cattivi, chi osannare e chi mandare all'inferno. L'attesa di provvedimenti adeguati e soprattutto la smania di punizioni esemplari. Viva Mattarella, viva il governo che fa pulizia, abbasso Salvini che finisce dentro un selfie di una sconosciuta, abbasso gli avidi Benetton, abbasso il loro cortigiano Oliviero Toscani, abbasso il Pd che non conta più nulla.

Lascia inquieti anche il livello di millantata consapevolezza che pare trasparire dagli interventi sui nuovi media di cittadini più o meno informati, più o meno militanti. Azzardano competenze da ingegnere strutturista, si pongono come contribuenti liberi da ogni macchia che possono sentenziare incontrastati davanti a un palazzo corrotto, invocano gogna e carcere duro. La giustizia digitale è immediata e senza appello, altro che Cassazione.

Per i dibattiti politici bisogna accontentarsi di quello che passa Facebook o postano gli stessi governanti. Di certo un Parlamento chiuso per ferie non fa che scalfire la centralità di un'istituzione che si è ridotta a operare quasi clandestinamente. Persino il sottosegretario Giorgetti ieri ha certificato che il «Parlamento non conta assolutamente più nulla». Le Camere si riuniscono solo in base a calendari prefissati, senza un minimo di elasticità per quanto accade nel Paese reale. Si è persa purtroppo un'occasione per ribadire alla dittatura di minoranza del popolo social che l'Italia è una repubblica rappresentativa, non fondata sul web. Il crollo del ponte di Genova, una sciagura che non sarà mai riassorbita per i suoi effetti devastanti, meritava più attenzione di una comunicazione postdatata del ministro.

Fermate questo corto circuito.

Altrimenti finirà per avverarsi la profezia eversiva di Davide Casaleggio, secondo cui il web presto renderà superfluo il Parlamento. Presto?

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