Elezioni Comunali 2017

Parma è la Caporetto M5s: Pizzarotti si vendica degli ex

Dalla vittoria simbolo per Grillo nel 2012 alla disfatta Il sindaco ribelle vola e va al ballottaggio con il Pd

Parma è la Caporetto M5s: Pizzarotti si vendica degli ex

Dalla Stalingrado grillina, Dalla Stalingrado grillina, alla Caporetto dei Cinque Stelle. Il «ribelle» Federico Pizzarotti, che cinque anni fa da signor nessuno aveva scalato Parma grazie all'onda M5s, ora asfalta il Movimento che l'aveva salutato come simbolo della rivoluzione in arrivo («Se vince una persona per bene come lui, un cittadino disinteressato che da bambino sognava di cambiare il mondo, allora tutto è possibile» disse il leader) e da cui ha finito per uscire ingaggiando una battaglia feroce coi vertici che lo considerano un traditore. Il sindaco uscente, col suo movimento personale «Effetto Parma», si avvicina al 40%, e va al ballottaggio col candidato Pd Paolo Scarpa (attorno al 30%), mentre i Cinque stelle stanno fuori, staccati di quasi trenta punti dall'odiato Pizza («Risultato in linea con la politica dei M5s» li umilia lui). Uno smacco che brucerà.

Pizzarotti ha cannibalizzato il M5s, prendendosene militanti, voti e lasciando solo il guscio, il simbolo. «Non sono io che sfido i Cinque Stelle, sono loro che sfidano me» aveva detto, un po' bullescamente. Ma non a torto. Era una partita in salita per Grillo, che di fatto ha deciso di provare ad azzoppare Pizzarotti e perdere senza metterci la faccia. Solo quella, e anche in extremis, di Daniele Ghirarduzzi. Ex sindacalista Cisl, sconosciuto ai parmigiani, grillino della seconda ora (è entrato nel movimento dopo la vittoria del 2012), già un tentavo di candidarsi a Fidenza e prima ancora un passato da simpatizzante leghista, è un nome che ha già diviso i Cinque stelle parmigiani. Nel 2016 i consiglieri di tutta la provincia, con una lettera a Beppe Grillo, avevano chiesto l'espulsione di Ghirarduzzi, giudicato una mina vagante. Poi, nel caos generato dalla faida Pizzarotti-M5s, Ghirarduzzi si è ritrovato candidato sindaco perché non c'era la fila per farlo («è un grande sacrificio, non si riparte da zero a Parma: si riparte da meno dieci» aveva ammesso il bolognese Max Bugani, fedelissimo di Casaleggio). Già, e chi l'ha visto Grillo? Il comico era stato più volte a Parma nella campagna 2012, invece stavolta non si è fatto vedere, e come lui tutti i big. Di Maio è andato a Piacenza ma si è guardato bene dall'allungare di pochi chilometri. L'unico parlamentare è stato Nicola Morra, presente al comizio di chiusura di Ghirarduzzi, evento immortalato da una foto che ritrae una piazza con non più di venti persone. Un segnale premonitore.

Neppure Renzi e il Pd, però, si sono spesi granché per Paolo Scarpa, ingegnere, non iscritto al Pd che ha vinto le primarie contro il candidato Pd (senza però trovarsi contro i leader locali) in una città dove il centrosinistra non vince da 19 anni. E che ora se la gioca al ballottaggio, puntando a prendersi i voti degli anti-Pizzarotti, dai grillini ai civici alla sinistra comunista.

L'unico leader a spendersi a Parma è stato Matteo Salvini, che è venuto due volte per lanciare la sua candidata Laura Cavandoli, sostenuta da una coalizione di centrodestra (Lega, Fi, Fdi), una novità assoluta. La Cavandoli ha martellato sui temi sicurezza e immigrazione, molto sentiti a Parma tra spaccio «open air», anche nelle vie centrali, e delinquenza. Una linea che ha almeno in parte funzionato, considerata anche l'alta astensione (54% solo i votanti): avvicinarsi al 20% sarebbe un successo per la candidata del centrodestra, che nel 2012 prese una batosta (dopo gli scandali della precedente giunta) e portò a casa soltanto un consigliere. E una conferma che il centrodestra unito è competitivo.

La domanda ora è: come si muoveranno i voti al ballottagio, in una corsa che ha visto in campo la bellezza di 16 liste? Non si può escludere un ribaltone che premi il candidato Pd. «È una sfida a parte e si riparte da zero» avverte anche il sindaco in vantaggio. Molti però prevedono un voto disgiunto proprio degli elettori Pd: croce sul partito, ma poi croce sul «Pizza».

Che, se riconfermato, si vede già proiettato su poltrone più importanti.

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