Politica

Parrini, ecco l'uomo che dà i numeri a Renzi

Sconosciuto ai più, è il padre della legge elettorale toscana. Ora punta al bis con l'Italicum per prendersi il Paese

Dario Parrini, deputato e segretario toscano del Pd, sindaco di Vinci fino al 2013
Dario Parrini, deputato e segretario toscano del Pd, sindaco di Vinci fino al 2013

Il nuovo Italicum bipartitista, fondamentale grimaldello per il renziano «Partito della nazione», è ancora in stand-by.

Per sbloccarlo, ha spiegato ieri il premier ai vertici Pd convocati a Palazzo Chigi, bisogna passare per un nuovo incontro con Silvio Berlusconi che non si terrà prima della prossima settimana.

Ma il Pd renziano è convinto che la battaglia decisiva sia ormai alle porte: quella grazie alla quale il Pd reciderebbe definitivamente il cordone ombelicale con la tradizione Pci-Dc e anche la politica italiana si rimescolerebbe da cima a fondo. Un Pd trasformato in «Big Tent», è l'immagine (mutuata dal Partito democratico di Lyndon Johnson e dal New Labour di Blair)che usa Dario Parrini, renziano toscano della primissima ora e uno dei teorici del salto bipartitista e post-ideologico del Pd. «Era quel che doveva essere il Pd originale, quello della vocazione maggioritaria uccisa in culla da Bersani e D'Alema», spiegava martedì intervistato da Huffington Post . «In politica, una “grande tenda”, o partito “piglia-tutto”, è un partito politico il cui obiettivo è attrarre persone con diversi punti di vista in modo da rendersi appetibile a più elettori». Senza «rigidità ideologica», ma basato «sull'inclusione di diverse ideologie e punti di vista nello stesso partito». Tutte cose che Parrini, insieme a Enrico Morando, Giorgio Tonini e Antonio Funiciello aveva già scritto nell'«Agenda per Renzi» delle primarie 2013.

Parrini è parlamentare ma anche segretario del Pd toscano. Molti lo avrebbero voluto candidato governatore della regione renziana, ma lui - dopo un decennio da sindaco di Vinci, la città di Leonardo - preferisce la politica nazionale ed ha accolto di buon grado il patto Rossi-Nardella benedetto dal premier. È lui il “babbo” del Toscanellum, la legge elettorale regionale recentemente approvata (con l'accordo di Fi) che prevede ballottaggio sotto il 40 per cento, premio di maggioranza e mix di preferenze e listini bloccati. Insomma una sorta di precursore dell'Italicum renziano.

Parrini viene dalla tradizione Ds, tendenza liberal. E infatti, conoscendo bene i suoi polli, non perde occasione per sfottere la sinistra Pd. «Cuperlo scredita la vocazione maggioritaria come “trasversalità senz'anima”. Rimpiange forse la “unilateralità senza voti”?», si chiedeva ieri su Twitter. A luglio irrideva gli scatenati senatori dissidenti del Pd: «Sono al Senato e credono di essere spartani alle Termopili. E non ci sono né Leonida né Serse». Con il conterraneo Vannino Chiti, leader della fronda anti-riforma, era spietato: «Chiti si paragona agli assediati di Fort Alamo. Lui sarebbe Davy Crockett, come nei film di John Wayne, ma non si capisce chi sarebbero i messicani». Ma il vero pallino di Dario Parrini è fare le pulci ad Eugenio Scalfari: ogni domenica si mette lì con santa pazienza a compulsarne le articolesse e poi spara. Tanto che renziani doc ormai non leggono più Scalfari, ma solo le controdeduzioni di Parrini su Facebook. «Mai lette tante inesattezze sui sistemi elettorali come nell'editoriale di oggi di Scalfari», twittava il 6 luglio, e giù un elenco di imprecisioni. Il 17 agosto tornava all'attacco: «Continuano gli svarioni domenicali del mio concittadino onorario Scalfari. Più il suo antirenzismo diventa viscerale, più scema l'accuratezza degli articoli», e giù un'altra sfilza di errori da penna blu.

Alla fine si è arreso anche lui e il 13 settembre ha tirato le conclusioni: «Leggo l'ennesimo attacco livoroso di Scalfari a Renzi e mi sovviene Pavese e penso che editorialeggiare sfianca».

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