Politica

Pd costretto a salvare l'alfaniano finito nei guai per Mafia Capitale

Respinta la mozione di sfiducia dei grillini per Castiglione, dominus del Cara di Mineo Ma tra i dem è rivolta. Divina Provvidenza: Azzollini accusa Legnini, numero due Csm

RomaCastiglione salvo subito, Azzollini, forse, chissà, tra un po'. Per l'Ncd doveva essere una giornata campale, con un sottosegretario sottoposto a voto di sfiducia individuale e un presidente di Commissione a rischio arresti. Invece niente, il Parlamento, grazie anche al no di Pd e Forza Italia, respinge le mozioni contro Giuseppe Castiglione. Quanto ad Antonio Azzollini, il senatore alfaniano ottiene di presentare e di discutere una seconda memoria difensiva davanti alla giunta per le immunità. Quantomeno i tempi si allungano, in attesa che la svolta garantista del Nazareno maturi del tutto, magari dopo la prossima pronuncia del tribunale del Riesame.

Voti contrari 304, voti favorevoli 108. La Camera boccia a larga maggioranza la mozione dei Cinque Stelle e poi a ruota quelle di Sel e Lega. Renzi e Alfano possono tirare il classico sospirone di sollievo, mentre la minoranza dem si ribella: «Serve un passo indietro», sostiene infatti Alfredo D'Attorre. Dopo il silenzio dei giorni scorsi, il Pd aveva mandato in avanscoperta il deputato Marco Miccoli: «Saranno i processi, che speriamo vengano celebrati presto, a stabilire le responsabilità. Per noi un avviso di garanzia è un atto dovuto, non è una condanna». E nel pomeriggio, a poche ore dal voto, è toccato al sottosegretario alla presidenza Ivan Scalfarotto intervenire alla Camera per annunciare il «parere contrario del governo al ritiro delle deleghe» a Castiglione per il caso Cara Mineo. Decisione poi confermata dall'assemblea dei deputati del Pd.

Ma per Renzi non è stata un'operazione a costo zero, come dimostra la rivolta di D'Attorre. «É una vicenda seria che andrebbe lasciata alla valutazione dei singoli parlamentari», ha detto l'ultrà bersaniano durante la riunione. Per contenere il dissenso il capogruppo Ettore Rosato ha ricordato che non è materia lasciata alle decisioni indivuali. E a quel punto D'Attorre ha rumorosamente lasciato l'assemblea. «Ha vinto un'ospitata in tv, lo inviteranno in qualche talk-show», il commento dei renziani.

In aula la posizione ufficiale viene illustrata da Andrea Romano: «La notizia dell'esistenza di indagini non può essere motivo di sfiducia. Non dobbiamo esprimere un verdetto giudiziario, né un giudizio di moralità. La valutazione del Pd è di non frapporre ostacoli al lavoro della magistratura, ma di valutare se le funzioni di sottosegretario siano indebolite dallo svolgimento dell'indagine». Contro le mozioni pure Forza Italia. «Siamo garantisti - spiega Renato Brunetta - e votiamo no. Non ci piacciono le sfiducie individuali e soprattutto non ci piacciono i plotoni di esecuzione. Siamo all'opposizione ma non usiamo questi mezzi».

Ma qualcosa il premier, già alle prese con Marino e il caos del Campidoglio, deve pagare pure sotto il profilo dell'immagine. M5S si scatena su Twitter . Per Beppe Grillo «i garanti del malaffare salvano l'indagato». Per Alessandro Di Battista «il Pd è passato da Berlinguer a Carminati». E Arturo Scotto, Sel: «Il Pd salva Castiglione per salvare il governo ignorando il lavoro della magistratura che sta squarciando il velo di un sistema affaristico sull'utilizzo criminale di risorse pubbliche».

E non c'è nemmeno il tempo di rifiatare, alle 20 inizia l'audizione di Azzolini. Nella sua memoria il presidente della Bilancio contesta l'attendibilità dei suoi accusatori, spiega che l'emendamento pro Divina Provvidenza era firmato dal Pd Legnini e spera che il Riesame cancelli la richiesta di arresti domiciliari.

A quel punto sarebbe più facile per il Pd salvare anche lui.

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