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Il Pd resta alla finestra Ma parlerà col "premier"

Martina insiste: se la sbrighino i vincitori. I dem si siederanno al tavolo se ci sarà un incaricato

Il Pd resta alla finestra Ma parlerà col "premier"

Tocca ai vincitori dimostrare se sono capaci di mettersi d'accordo: nel secondo pellegrinaggio al Quirinale, il Pd ribadisce la linea fin qui tenuta. «Le forze che hanno prevalso il 4 marzo la smettano con il tira e molla che abbiamo visto fin qui, con i tatticismi estremi e con la grande incertezza», dice il reggente Maurizio Martina. «Il paese ha bisogno di scelte chiare: chi ha vinto ha il dovere di dire cosa intende fare senza continuare con questi balletti. Per il bene dell'Italia finiscano litigi e tatticismi».

Il cerino è in mano a Salvini e Di Maio, che per il momento sembrano impantanati, e dai dem non arriva nessuna sponda alternativa: «Per il momento stiamo a guardare», spiega un dirigente. Del resto, confida chi ha partecipato al summit del Colle, neppure Mattarella chiede, in questa fase, che sia il Pd a prendere un'iniziativa: «A nostra precisa domanda, se cioè il presidente si aspettasse da noi una qualche apertura per aiutare a sbloccare la situazione, la risposta è stata no. Capisce benissimo la nostra posizione».

Ma sono gli stessi dirigenti renziani a spiegare che questo non vuol dire «restare immobili» anche nelle fasi successive di questa pasticciatissima crisi post-voto: «Quando e se ci sarà un incaricato, ovviamente ci siederemo al tavolo a parlare e a confrontarci». Se ne è discusso in queste ore al Nazareno, ne hanno parlato esponenti di primo piano che fin qui sono stati su linee assai diverse, come il renziano Lorenzo Guerini e il ministro Dario Franceschini, che anche nell'assemblea dei parlamentari dem di martedì ha perorato la causa del dialogo con i grillini: i due, ieri pomeriggio, erano seduti insieme in Transatlantico a discutere non solo delle faccende interne (la nomina a segretario di Martina nell'Assemblea nazionale del 21 aprile sembra allontanarsi, e la convocazione di un congresso da tenersi a inizio 2019 pare più vicina, e i renziani non abbandonano la speranza di convincere Delrio a candidarsi) ma anche della «fase due». Di come, cioè, prepararsi al momento in cui, in caso di eventuale preincarico, si apriranno consultazioni più politiche e programmatiche. «Il rischio vero ragiona Ettore Rosato è che i nostri futuri interlocutori, Di Maio in primo luogo, sono talmente ansiosi di trovare i numeri per andare a Palazzo Chigi che ci direbbero di sì su qualunque proposta programmatica, per tentare di incastrarci. Ed è un rischio che dobbiamo aggirare, calibrando bene i punti e i contenuti da portare al futuro giro di consultazioni per formare il governo».

La linea insomma, resta ferma: nessun appoggio a governi grillin-leghisti.

Ma se la crisi facesse un passo avanti, il Pd deve tornare a «fare politica», anche per «aprire contraddizioni nel fronte dei vincitori».

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