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Il Pd scopre che la Cgil tarocca le iscrizioni. A sinistra scatta la rissa

La Camusso attacca "il governo dei poteri forti", la Picierno risponde: "Tessere false". Dopo i tafferugli in strada sale la tensione. Bersani al premier: "Basta accendere micce"

Il Pd scopre che la Cgil tarocca le iscrizioni. A sinistra scatta la rissa

«Renzi è stato piazzato a Palazzo Chigi dai poteri forti». «Susanna Camusso è stata eletta con tessere false e Piazza san Giovanni è stata riempita con pullman pagati». Lo scontro tra la Cgil e il governo ricorda molto quello dei tempi d'oro di Silvio Berlusconi. Con la differenza che questa volta nella parte dei critici del sindacato ci sono esponenti renziani della prima (e della seconda) ora come l'europarlamentare Pina Picierno.

Il bollettino di guerra di ieri, 29 ottobre, si apre con un'intervista del segretario cigiellino a Repubblica . I toni sono più pesanti del solito anche se le accuse sono sempre le medesime. «Renzi è a Palazzo Chigi per volere dei poteri forti», ha dichiarato la Camusso aggiungendo di essere colpita dal fatto che l'amministratore delegato di Fiat Chrysler Sergio Marchionne «possa dire del presidente del Consiglio “l'abbiamo messo là” e lo possa fare senza suscitare alcuna reazione». L'esecutivo «non ha disponibilità a confrontarsi con chi, come i sindacati, rappresenta interessi generali, non corporativi», ma «copia le proposte delle grandi imprese di Confindustria».

Una ventata di operaismo anni '70 in faccia a Palazzo Chigi. Sarebbe bastato rispondere alla Maurizio Crozza qualcosa del tipo «ti regaliamo una cassetta dei New Trolls per il mangianastri della 128», ma il Pd renziano non è per nulla ironico. E così sul proscenio di Agorà la giovane Pina Picierno, componente della segreteria, sbotta. «Sono molto turbata. Io, allora, potrei ricordare che la Camusso è stata eletta con tessere false o che la piazza è stata riempita con pullman pagati, ma non lo farò», afferma.

La valanga che ne è seguita non ha precedenti, anche se Picierno si è pentita quasi subito delle parole pronunciate, ancorché le procedure del sindacato siano tutt'altro che trasparenti e le grandi manifestazioni siano sempre foraggiate dalla segreteria. Tant'è vero che il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, renziano di ferro, ha immediatamente stigmatizzato le parole della Camusso. «Questo governo è nato per volontà del Pd e sta lavorando nell'interesse di tutti i cittadini, nel pieno della sua legittimazione e con un vastissimo consenso popolare, come si è visto alle ultime elezioni europee», ha detto pur ribadendo rispetto per la manifestazione di sabato scorso. Si tratta di un'uscita che rafforza le recenti dichiarazioni del premier («Con il sindacato non tratto»): non c'è spazio per una mediazione sul Jobs Act e sull'abolizione dell'articolo 18, ovvero la possibilità di licenziare senza giusta causa. Anche il presidente del partito, Matteo Orfini (un tempo molto vicino alle posizioni del sindacato), ha marcato una netta distanza: «Susanna Camusso ha detto cose sbagliate, ma la piazza va ascoltata».

Un isolamento politico quasi totale (a eccezione dei pochi «reduci» di Sel) ha costretto il sindacato a difendersi da solo replicando con una nota della segretaria nella quale si evocavano i casi di «tesseramenti gonfiati» nelle primarie campane, bacino elettorale della Picierno. Gli scontri tra operai della Acciai speciali Terni e poliziotti ieri a Roma hanno, poi, peggiorato il clima, costringendo l'altro dioscuro dell'opposizione, il segretario della Fiom Maurizio Landini, ad attaccare. «Siamo noi che paghiamo le tasse anche per quelli che sono là. Dica una parola il presidente del Consiglio, invece di fare slogan del cazzo», ha esordito dopo essersi lamentato di aver ricevuto delle manganellate. Il gergo non proprio oxfordiano rivela che la Cgil si è infilata in un vicolo cieco: la polemica contro il governo sul Jobs Act rischia di concludersi senza risultati. Oltretutto l'arma dello sciopero generale in una fase di crisi economica potrebbe rivelarsi un boomerang .

Nella convulsa giornata di ieri si è inserito in scivolata anche Pier Luigi Bersani che da Otto e Mezzo attacca il premier. «Bisogna misurare le parole, non si può accendere una miccia al giorno. La situazione è seria.

Sono stati commessi errori seri da parte del governo e il sindacato non può essere considerato un ferro vecchio».

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