Politica

Il Pd torna dalle ferie con i nervi scoperti

Congresso in «tempi rapidi». Renzi pensa all'anti-Zingaretti, Martina: no primarie

Il Pd torna dalle ferie con i nervi scoperti

Roberto Scafuri

Roma Da prendere con la letizia d'una grandinata in tangenziale sul motorino, ecco profilarsi la stagione della vendemmia pidina. Ovvero il magro raccolto di un'uva corrente, pigiata come se fosse dom Perignon da giornaloni e tivù, e imbottigliata con etichetta nuova di zecca. Nella bottiglia resterà il vinaccio adulterato di sempre: quello che dà alla testa.

Finiti gli ozii estivi, torna perciò il tempo delle vendette e delle ipocrisie: rischierà d'accompagnarci per buona parte dell'autunno. Ineluttabile come le strigliate Ue al governo, impudente come le presa per i fondelli di Juncker ai popoli d'Europa. Il Pd litiga, ognuno richiama l'altro: «Non litighiamo». Lo dice Veltroni, lo ripete Zingaretti, lo rilanciano i renziani. Ma si mandano tutti a quel paese. E in effetti c'è gran movimento di feste e sagre (non più dell'Unità), convegni e conventicole; ce n'è ancor di più sui social. Al punto che Marianna Madia, sì proprio lei, s'erge come vetta della compagnia e raccomanda: «Non cadiamo nel ridicolo». Ma il più è fatto, se il segretario Martina si rimangia le primarie («sono diventate una gabbia», dice lui, che non sarebbe votato da nessuno). Il ministro Minniti, dal suo pulpito, spiega che «il Pd deve stare a fianco a chi prende l'autobus la mattina». E quindi ammette sconsolato che però «il problema è che molti di noi, me compreso, non prendono il bus...». Analisi perfetta, paradigmatica direbbero loro, alla pari dell'esempio portato ieri da Martina: «Abbiamo salvato l'Ilva eppure i lavoratori ci considerano la causa del fallimento». Un motivo pure ci sarà, in questa crisi profonda di un partito e di un progetto, se il brand è merce avariata, ormai divenuto sinonimo, in una spirale vorticosa, di sconfitta elettorale, potere autoreferenziale, casta privilegiata, élite corrotta, sconfitta elettorale. «Voglio vedere a riprensentarci sotto quel marchio dopo tre batoste di fila nell'urna...», ragionano i più avveduti.

Zingaretti «non ha escluso» il cambio di nome ma, come Martina, prima vorrebbe capire dove andare a parare: nel «fronte ampio» da Tsipras a Macron (guazzabuglio indigeribile per i renziani) o essere la sezione italiana della transalpina En marche!, come ancora sognano i renziani, nonostante Macron se la passi malaccio pure in Francia. Ma il nome cambierà pure se la Lega, il prossimo 5 settembre, sarà costretta a ripartire da zero: come s'è già visto nella politica italiana, le scosse si diffondono in onda tellurica da uno schieramento all'altro. Non è comunque da sottovalutare, questa crisi di marketing, nella fine prematura del progetto voluto da Prodi e Veltroni, quest'ultimo implacabile necroforo ancora convinto che «l'idea fosse buona» e che «il nome non si tocca». Così il Pd fa un passo avanti e due indietro, oltre che nelle liti, e annuncia la sua grande mobilitazione a Roma «contro il governo dell'odio», il 29 settembre. «Sarà per i suoi elettori del 4 marzo: pochi intimi», irridono i grillini (Di Stefano), peccando però d'ingenuità, visto che per una sfilata contro il governo in Italia ci si mette un attimo a riempire i pullman.

Il «dibattito» sul futuro sembra senza uscita, nel partito che ormai vive «en attendent Matteò». Renzi in effetti viene ancora ritenuto «imprescindibile» e «risorsa» non solo dai renziani alla Gozi o Marcucci. È bastato che l'unico (per ora) candidato alla segreteria Zingaretti osasse sfidare l'ossequio generale per Macron che è stato subissato di contumelie. Di «buono» c'è solo che renziani abbiano detto sì all'anticipo del congresso, visto che «Salvini va fermato subito». Ieri lo ha ufficializzato l'iperrenziano Guerini chiedendo «tempi rapidi». Il traino di Macron alle Europee resta una speranza per tanti: perciò si dovrebbe arrivare a congresso a febbraio-marzo, il tempo di trovare un antagonista a Zingaretti. Probabilmente una donna: in lizza la Bonafè, la Bellanova, la Morani.

Renzi sta già sfogliando il book.

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