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Il Pd vuole tassare le pensioni ma Damiano rompe il fronte

Il governo rischia di far saltare i conti pubblici e pensa a un prelievo sugli assegni oltre 3.500 euro. E il piddino dà ragione a Forza Italia

Il Pd vuole tassare le pensioni ma Damiano rompe il fronte

Pensionato stai sereno. O forse è meglio di no. La grande bagarre ferragostana sul possibile prelievo sulle pensioni sopra i 3500 euro netti produce una giornata di ordinaria confusione politico-governativa. Per Matteo Renzi l'ipotesi «non esiste». Il tam tam, però, non si ferma e non potrebbe essere altrimenti visto che solo due giorni fa il ministro del Lavoro Giuliano Poletti si è detto favorevole a interventi sugli assegni più alti, il sottosegretario Graziano Delrio ha ammesso che c'è l'idea «di un contributo straordinario» ma solo per le «pensioni robuste». E per chiudere il cerchio è arrivato il sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta, a dire che «chi guadagna fino a 2000 euro netti di pensione può stare assolutamente tranquillo». Come dire che chi è sopra quella soglia inizi ad abituarsi all'idea di una mazzata.

I nodi per il governo non sono pochi. Ci sono resistenze interne allo stesso esecutivo, con il viceministro all'Economia, Enrico Morando, che invita alla cautela: «Eviterei ritocchi a un intervento già strutturale». C'è la levata di scudi della Cgil «contraria al ricalcolo con il contributivo. Inaccettabile un intervento sulle pensioni retributive». Nunzia De Girolamo che si schiera contro e anche l'Udc con Gianpiero D'Alia che pone il veto.

L'altro ostacolo, poi, è quello dei paletti costituzionali. Soltanto nella primavera 2013 la Consulta bocciò i prelievi di natura fiscale sui soli pensionati. La norma prevedeva un contributo perequativo per le pensioni oltre 90mila euro, un intervento giudicato «irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini». Tanto che l'Inps dovette procedere al rimborso. È stato poi il governo Letta a reintrodurre il contributo per le pensioni oltre i 90 mila euro, mentre a febbraio si è arenata in Parlamento la proposta a firma Giorgia Meloni, con la bocciatura della fissazione di un tetto di 5 mila euro lordi al mese.

Sulla misura Renzi deve naturalmente fare i conti con la ferma opposizione di Forza Italia. «La strategia è chiara: tassare ancora una volta le pensioni in modo da evitare le riforme radicali di cui l'Italia ha bisogno», dice Mariastella Gelmini. Per Maurizio Gasparri si pensa «a un esproprio anche sui redditi bassi». E Renato Brunetta ricorda «agli smemorati che il contributo sulle pensioni più alte esiste già. Lo ha previsto un gentile lascito del governo Letta. Colpisce tutte le pensioni superiori a 5 mila euro netti al mese. Con una progressione dal 6 al 18% per quelle superiori a 195 mila euro. In quest'ultimo caso la somma delle aliquote porta a un prelievo di circa il 65%». Una posizione che fa scattare il plauso di Cesare Damiano che stabilisce un inedito asse con il capogruppo di Forza Italia. «Ha ragione Brunetta. Sarebbe improponibile che per fare cassa si mettessero nuovamente le mani sulle pensioni del ceto medio».

Ma qual è l'ipotesi più accreditata che circola nei palazzi romani? Premesso che l'obiettivo è raccogliere un miliardo-un miliardo e mezzo di euro, le voci si addensano su un intervento sulla fascia oltre i 3500 euro netti al mese (anche se Repubblica indica una soglia più bassa presa inizialmente in considerazione , sui 50-60mila euro lordi l'anno) . Un intervento che andrebbe a incidere sulla differenza calcolata tra l'assegno pensionistico che si riceve in base al retributivo e l'assegno teorico basato interamente sul contributivo. La tentazione, insomma, c'è.

Ma la sforbiciata, almeno per il momento, resta nascosta nella nebbia dell'indecisione governativa.

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