Politica

Peculato su rimborsi e onlus «Tre anni di cella per Marino»

L'ex sindaco Pd di Roma e le cene con la carta di credito del Comune. Quelle assunzioni della sua associazione

Massimo Malpica

Roma «Di che cosa si preoccupano oggi i romani? Dei rifiuti, dei trasporti pubblici o degli scontrini delle mie cene di lavoro?». Così parlava l'ex sindaco di Roma Ignazio Marino lo scorso 7 ottobre, alla vigilia delle sue dimissioni poi ritirate e a poche settimane dal blitz con cui il Pd lo rimosse dal Campidoglio. I romani, in quest'anno, hanno avuto molto di cui preoccuparsi. Ma quegli scontrini relativi a 56 cene «istituzionali» pagate con la carta di credito del Campidoglio alla fine sono diventati un grattacapo proprio per l'ex sindaco: ieri al processo con rito abbreviato i pm romani Roberto Felici e Pantaleo Polifemo hanno infatti chiesto di condannarlo a tre anni, un mese e dieci giorni di carcere. Accusando Marino per quella vicenda di peculato e falso, reati ai quali si aggiunge la truffa ai danni dell'Inps per l'altro procedimento, relativo alle assunzioni fittizie fatte tra 2012 e 2014 dalla onlus Immagine, della quale il chirurgo prestato alla politica era stato presidente. La sentenza è attesa proprio per il 7 ottobre.

Marino è finito nel mirino anche dell'avvocatura del Comune di Roma. Che ha chiesto un risarcimento danni di 600mila euro per la vicenda degli scontrini: 100mila per il danno funzionale e mezzo milione per quello di immagine. Nessuna richiesta per il danno patrimoniale diretto, visto che, a indagine già aperta e nel pieno delle polemiche, Marino restituì la somma spesa con la carta di credito.

Anche ieri l'ex sindaco ha ribadito la sua innocenza. Parlando per quaranta minuti e lamentando di non essere mai stato chiamato in un anno di indagini a dare chiarimenti agli inquirenti sul merito di quelle 56 cene - tra luglio 2013 e giugno 2015 - finite nel fascicolo dell'inchiesta. Un punto su cui è andato all'attacco anche il suo legale, Enzo Musco, secondo il quale ieri Marino «si è difeso alla grande», tanto da «fare a pezzettini l'impianto accusatorio dei pm». Per Musco, la Gdf ha «fatto male» le indagini, e gli investigatori «sono stati superficiali e non sono andati dal mio assistito per chiedere con chi avesse cenato, oltre a non fare gli accertamenti necessari». La versione difensiva, insomma, resta quella di un anno fa, ribadita dall'avvocato: «Tutti i giustificativi di spesa sono stati firmati dal capo della segreteria politica, come dimostra una nostra consulenza grafologica». Se falso c'è, dunque, non sarebbe colpa dell'ex sindaco. Che ha mangiato con chi voleva lui a spese del Campidoglio, ma non avrebbe poi «barato» sui giustificativi, indicando ospiti che a tavola con lui non s'erano mai seduti.

Gli inquirenti non la pensano così. Le 56 cene nel mirino, per 12.700 euro di spesa per le casse capitoline, si sono tenute «generalmente in giorni festivi e prefestivi, con commensali di sua (Marino, ndr) elezione», e in modo «difforme dalla funzione di rappresentanza dell'ente». E per gli investigatori proprio Marino avrebbe dettato «disposizioni al personale addetto alla sua segreteria» per inserire nei giustificativi «indicazioni non veridiche, tese ad accreditare la natura istituzionale dell'evento, e apponendo in calce alle stesse la sua firma». Ma sulle cene Marino scarica sugli ex sottoposti.

E anche nel filone delle assunzioni-truffa punta il dito contro la direttrice della Onlus, Rosa Garofalo (anche lei rinviata a giudizio, ma con rito ordinario): «La nostra versione - spiega il suo avvocato- è che abbia fatto tutto la direttrice, come lei stessa ha dichiarato più volte».

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