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Le Pen e la marea populista che si ferma prima del trionfo

Il secondo turno con record di consensi sarà il limite del Front. Che verrà battuto come i suoi emuli europei

Le Pen e la marea populista che si ferma prima del trionfo

«Questo è il primo passo che porterà il popolo francese all'Eliseo». Dopo l'ammissione al ballottaggio delle presidenziali, Marine Le Pen ha fatto la spavalda, presentando come un trionfo quello che, a ben guardare, è solo un buono, ma previsto, successo. Ha preso al primo turno cinque o sei per cento di voti in più del padre quando 15 anni fa batté il socialista Jospin al primo turno, ma si è ritrovata subito di fronte allo stesso muro degli altri partiti che allora si coalizzarono per fermare il vecchio Jean Marie. Nel secondo turno, potrà raccogliere qualche voto in più dalla destra gollista, qualche altro dal comunista Melenchon che condivide con lei sia pure dal lato opposto della barricata - lo stesso programma iconoclasta e i pochi consensi ottenuti dagli altri candidati di destra eliminati al primo turno, ma difficilmente, nel confronto decisivo con Macron del 7 maggio, arriverà a superare il 35-38%. Nonostante i progressi compiuti anche rispetto al 2012, siamo perciò ancora ben lontani dalla sognata conquista della presidenza. E dal momento che Marine è il punto di riferimento, per non dire il faro, di tutti gli altri variegati populisti europei, dalla Francia arriva, con queste elezioni, un messaggio importante per tutti: la marea populista che rischiava di sommergere l'Europa potrebbe avere raggiunto il suo punto più alto, oltre al quale le sarà difficile se non impossibile andare. L'antipolitica, l'avversione per l'establishment, il malcontento delle classi medio-basse più colpite dalla globalizzazione che hanno favorito la sua crescita non scompariranno di certo, ma la ricetta che il Front National, la Lega, il Partito della libertà olandese, Alternative für Deutschland e gli altri loro sodali propongono per combatterli non è arrivato a convincere, nel migliore dei casi, più di un terzo della popolazione. La ragione principale è che le loro ricette radicali, come lo smantellamento dell'euro, la chiusura delle frontiere, la crociata contro i «burosauri» di Bruxelles e una sconsiderata ridistribuzione di una ricchezza che sicuramente esiste, ma lo Stato non controlla, attraggono a prima vista, ma a un esame più approfondito si rivelano dannose o addirittura impraticabili.

I populismi europei hanno tante matrici diverse, e hanno costruito le loro fortune su basi che spesso hanno poco in comune, che sarebbe un errore sostenere che il messaggio che arriva dalla Francia valga per tutti. La sola cosa certa è che nessuno se la passa troppo bene: l'olandese Wilders non ha vinto le elezioni come si aspettava, Afd è spaccata tra l'ala «nostalgica» e quella nazionalista al punto che la leader Frauke Petry ha deciso di farsi in disparte, la Ukip di Farage ha esaurito la sua spinta propulsiva con la Brexit e il tentativo di Salvini di allinearsi con Marine Le Pen non è stato proprio un successo. Forse soltanto le destre scandinave, approfittando del fatto che i loro governi sono stati fin qui i più generosi con migranti e profughi, sono ancora in fase di ascesa. L'unico punto che li accomuna tutti e, con l'aria che tira, è sicuramente destinato ad assumere nella lotta politica un ruolo sempre maggiore, è infatti la lotta contro l'immigrazione incontrollata, ma i governi, consci dell'impatto che il tema ha sulla gente, hanno cominciato a correre ai ripari, spuntando così le armi degli avversari.

Lo slogan «Restituiamo il potere al popolo», con i metodi di Marine o quelli di Grillo, ha il suo fascino di fronte a una classe politica spesso non all'altezza dei suoi compiti. Ma, per quanto radicato nella storia, rimane appunto uno slogan, che i partiti che l'hanno adottato non sono stati finora capaci di corredare con proposte che siano sia credibili, sia accettabili alla maggioranza dell'elettorato.

Prima di pronunciare un verdetto definitivo (e per gli avversari del populismo di tirare un sospiro di sollievo) bisognerà attendere altre prove; ma, nell'aria, comincia a farsi strada l'impressione che il vento stia cambiando.

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