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Perché stavolta Putin non potrà stare a guardare

Perché stavolta Putin non potrà stare a guardare

Il 7 aprile di un anno fa Donald Trump reagì a un presunto attacco chimico attribuito, senza prova alcuna, al regime di Bashar Assad con il lancio di 59 missili Tomahawk contro la base siriana di Shayrat. Quella volta Vladimir Putin lasciò correre. Stavolta non farà altrettanto. Stavolta un eventuale intervento militare americano minaccia veramente di trasformare la Siria nella Danzica di quel terzo conflitto mondiale vaticinato da Papa Francesco. Stavolta accuse e missili oltre a colpire l'alleato Assad, mettono a dura prova la credibilità e la determinazione del presidente russo. Due qualità indispensabili per uno Zar che non si accontenta più del ruolo di semplice protettore di Bashar, ma punta a quello di garante di un nuovo ordine regionale in Medioriente. Un ordine regionale in cui alla vittoria di Damasco segua un transizione post-bellica mediata da Mosca attraverso accordi consensuali con Turchia e Iran. E dove una Russia, capace di dialogare sia con Gerusalemme, sia con Teheran, rappresenti lo snodo per evitare lo scontro tra Repubblica Islamica e Stato Ebraico.

In questa prospettiva non reagire ad un intervento americano, appoggiato probabilmente da Francia e Regno Unito, significherebbe abdicare ai propri disegni. Ma non solo. Nell'ottica di Putin accettare passivamente un'iniziativa militare americana in Siria significherebbe incassare anche le accuse di complicità negli orrori chimici. L'offensiva nella regione di Ghouta, dove si sarebbe svolto l'attacco con i gas, è stata condotta sotto la supervisione del Cremlino che, oltre a guidare gli assalti alle basi jihadiste, ha garantito l'evacuazione dei civili e le trattative con i ribelli pronti alla resa. Dunque se nulla di quanto successo sul campo di battaglia è sfuggito alla regia russa, accusare Damasco per la presunta strage chimica equivale ad estendere l'accusa alla Russia e al suo presidente. Non a caso Trump dopo aver definito «animale» il presidente Assad ha accennato alle responsabilità di Russia e Iran. Questo Putin non può permetterlo. Non fosse altro perché un altro episodio oscuro come l'avvelenamento in Gran Bretagna dell'ex spia russa Sergei Skripal e di sua figlia Yulia è stato usato dal premier inglese Theresa May per mettere sotto accusa la Russia e spingere l'Europa a decretare l'espulsione di 60 suoi diplomatici. Stavolta andrebbe anche peggio. Nell'ottica di Putin subire un attacco militare in Siria senza reagire equivarrebbe ad arrendersi all'offensiva di un'America decisa a ridimensionare la Russia, non solo in Medioriente, ma sull'intero scenario globale.

E questo per Putin equivale ad una dichiarazione di guerra.

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