Cronache

"Il perdono è cristiano ma non il perdonismo. Logico il fine pena mai"

Il giurista: "La sentenza europea? Plausibile l'ergastolo ostativo se non c'è il pentimento"

"Il perdono è cristiano ma non il perdonismo. Logico il fine pena mai"

Il cristianesimo è la speranza che irrompe nel mondo. Ma la speranza non è un sentimento zuccheroso e appiccicoso con cui spedire fuori dal carcere mafiosi incalliti. L'ergastolo ostativo. Quello dei mafiosi che non hanno tradito i loro padrini. È il tema che ha rilanciato ieri nel suo editoriale il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, dopo la sentenza della Corte di Strasburgo che contesta questa forma di detenzione durissima. Senza benefici e senza spiragli: in galera fino alla morte. È la questione spinosa su cui riflette Salvatore Amato, cattolico, ordinario di filosofia del diritto a Catania.

Professor Amato, la Corte di Strasburgo dà un colpo di piccone al fine pena mai. Sacrosanto?

«Un attimo. Siamo davanti a un problema delicatissimo, in cui contano molto le sfumature, i dettagli, insomma i casi concreti in carne e ossa».

Parliamo in sostanza di mafiosi e terroristi che non hanno tagliato i ponti con il loro passato. È giusto negare loro benefici e uno spiraglio di luce?

«Il diritto alla speranza è molto importante. Ed è ancora più importante, come sottolinea Strasburgo, che non sia negato a priori. Con una specie di riflesso pavloviano, no in automatico».

Ma se non si recidono quei legami tossici?

«Eccoci al secondo lato del nostro ragionamento. Io credo che la Corte abbia solo evidenziato questo aspetto su cui, fra l'altro, in molti paesi europei che non hanno avuto la nostra storia sanguinaria, c'è una sensibilità diversa: no all'ergastolo ostativo a scatola chiusa, sì a una valutazione che tenga presente la complessità di una vita umana».

Dunque, si può arrivare a un sì ma anche a un no alla scarcerazione?

«Certo. Il ravvedimento non può essere solo un fatto personale, quasi privato, intimo. Se hai ucciso, se hai fatto del male, io mi aspetto che tu mandi dei segnali contrari, se hai tolto la speranza io mi attendo che tu riporti un po' di speranza con i tuoi gesti, con i tuoi atti, con le tue parole».

Il perdono?

«Alt, il perdono non è mai perdonismo. Il cristianesimo non è mai sentimentalismo, il cristiano abbraccia l'altro dentro un giudizio. E il giudizio può anche essere negativo: sarai pure diverso da prima, ma non si vede. E questo può essere declinato in molti modi».

Ad esempio?

«Può essere che il soggetto in questione non abbia spezzato quei vincoli per interesse: perché magari i clan aiutano economicamente la sua famiglia. Se è cosi, anche l'eventuale buona condotta conta poco o nulla. La verità è un'altra: la rete del malaffare domina ancora, la liberazione sarebbe una resa dello Stato. Allo stesso modo se io non collaboro e il mio silenzio permette ad un sicario nell'ombra di continuare ad uccidere allora mi assumo responsabilità gravissime».

Ma se il rifiuto di collaborare nasce dalla paura di ritorsioni, come nota Strasburgo?

«Entriamo in vicende molto articolate e difficilmente comprensibili dall'esterno. Ma in linea generale possiamo dire che al coraggio della denuncia dovrebbe corrispondere la capacità dello Stato di tutelare i familiari. Non si può pretendere che un delinquente si trasformi addirittura in un eroe».

E adesso che succederà dopo questo verdetto?

«L'Italia pagherà un indennizzo poco più che simbolico all'ergastolano i cui diritti sono stati violati, ma non è obbligata a cambiare la norma.

Roma farà le sue considerazioni e poi deciderà».

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