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La perizia su tumore e abuso del telefono: "Rari entrambi, perciò sono collegati"

Lo strano ragionamento dell'esperto. Che però ammette: non ci sono studi

La perizia su tumore e abuso del telefono: "Rari entrambi, perciò sono collegati"

Il telefonino fa venire il cancro! La sentenza del tribunale di Ivrea che ha ritenuto provata la relazione tra utilizzo intenso del cellulare e il tumore al cervello ha suscitato la legittima preoccupazione di milioni di italiani ma anche profondo stupore tra gli addetti ai lavori. Ma come è arrivato il magistrato alla sua decisione? In attesa di leggere le motivazioni, il documento più importante è il testo della consulenza tecnica disposta dal giudice Luca Fadda, e che sta verosimilmente alla base della sentenza. Ed è una perizia in cui più dei dati scientifici pesano deduzioni logiche a volte spericolate.

Scrive Paolo Crosignani, il consulente del tribunale: «Nel caso in esame vi è la associazione tra un tumore raro ed una esposizione altrettanto rara come l'utilizzo dal 1995 di telefonia cellulare ad elevate emissioni. La rarità della circostanza depone per una associazione causale». Tradotto: siccome è raro che uno stia così tanto al telefono, e anche il tipo di tumore insorto è raro, allora significa che tra i due fatti c'è per forza una relazione. «Il giudizio di questo consulente è che la causa della malattia contratta dal ricorrente sia in misura «più probabile che non da attribuire alle esposizioni derivanti dal lavoro svolto», conclude «in scienza e coscienza» Crosignani.

Per arrivare alla sua conclusione, il consulente deve scavallare gli studi clinici ed epidemiologici che - come egli stesso riconosce nel documento - ritengono non provata una connessione tra cellulare e cancro: «gli studi descrittivi sulla popolazione considerata nel suo complesso e la ricerca di un aumento di tumori cerebrali e del neurinoma dell'acustico sono tutti negativi», riconosce il consulente. Ma le analisi, principalmente quelle di Interphone, per il consulente sono «non attendibili» perché ha risposto meno della metà degli intervistati, e perché alcuni dei ricercatori si troverebbero in conflitto di interessi. Crosignani ammette anche che non sono registrati aumenti dei tumori di questo tipo - i cosiddetti gliomi - dopo la diffusione dei cellulari: ma spiega che «circa il mancato aumento rilevato dalla rete dei Registri Tumori si rileva qui che ci si sta occupando di una malattia rara e che altrettanto rare sono state in passato le occasioni di esposizione. La rarità della situazione fa sì che un rischio di questo genere non avrebbe potuto comunque influenzare le statistiche a livello nazionale della occorrenza di tumori cerebrali».

Ma il passaggio più inatteso è quello in cui il consulente traccia un parallelo tra i rischi da cellulare e i rischi da amianto: ovvero una sostanza la cui tossicità è dimostrata da imponenti studi epidemiologici. «Il consulente - scrive Crosignani - concorda circa la mancanza al momento attuale di conoscenze su meccanismi d'azione plausibili per un effetto cancerogeno delle radiofrequenze. D'altra parte anche per l'amianto ci troviamo nella stessa situazione; nessun meccanismo d'azione è stato stabilito con certezza per questa sostanza e neppure esistono ipotesi per mettere in relazione le caratteristiche geometriche delle fibre con il loro potenziale cancerogeno. Questo non può né deve ovviamente impedire che si consideri l'amianto come un cancerogeno per la specie umana». E lo stesso criterio va dunque applicato ai cellulari.

Il giudice Fadda non era tenuto a fare proprie le conclusioni della consulenza: ma, dopo averla disposta, era improbabile che se ne discostasse.

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