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Persecuzione finita. Mori assolto anche in appello

Nessun favoreggiamento a Provenzano, l'ex generale dei Ros: «Restituità l'onorabilità»

Non hanno tradito lo Stato, non hanno lasciato sfuggire alla cattura per chissà quali motivi il capo della Cupola, Bernardo Provenzano. Per la seconda volta, portato davanti ai giudici si inabissa un altro pezzo della teoria siciliana del complotto e della trattativa: Mario Mori, generale dei carabinieri, capo del Ros e poi dei servizi segreti, viene assolto dalle accuse incresciose mosse contro di lui dalla Procura di Palermo, e insieme a lui viene assolto Mauro Obinu, colonnello e a lungo suo braccio destro. «Questa nuova assoluzione - commenta l'ufficiale- mi restituisce l'onorabilità come uomo e ufficiale dei carabinieri a cui tengo moltissimo. Sono estremamente soddisfatto»

Ieri la Corte d'appello di Palermo ha respinto il ricorso che la Procura generale aveva presentato contro la assoluzione già incassata da Mori e Obinu in primo grado. Un processo che già in tribunale era durato cinque anni, anche in appello è riuscito a durare altri tre anni per arrivare al medesimo risultato del primo grado. Mori, che già era stato assolto nel processo gemello per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina, esce a testa alta anche stavolta. E difficilmente della sentenza di ieri potrà non tenere conto il tribunale di Palermo quando riuscirà a tirare le fila di quel Moloch processuale che è il processo Stato-mafia, il maxiprocesso alla «Trattativa» che aveva tra i suoi non molti punti d'appoggio proprio i due episodi, la mancata perquisizione e la mancata cattura, ora ufficialmente sgretolatisi.

La teoria secondo cui nel 1995 Mori avrebbe deliberatamente evitato di arrestare Provenzano nasceva da una delle tante perle offerte ai pm da Massimo Ciancimino, figlio del sindaco mafioso di Palermo, divenuto nelle mani dell'allora pm Antonio Ingroia «un'icona dell'Antimafia». La stessa Procura aveva inizialmente faticato a sposare in pieno le tesi di Ciancimino junior sui favori a Provenzano, e c'era voluta l'ostinazione di un gip per ordinare di portare Mori e Obinu sotto processo.

Ma una volta in aula, i pm palermitani avevano messo da parte i dubbi, e avevano sparato a zero sui due ufficiali. Sia in primo grado, quando a sostenere l'accusa c'era ancora Ingroia insieme al collega Nino Di Matteo, sia in appello quando in aula è andato personalmente il procuratore generale Roberto Scarpinato. A metà processo Scarpinato aveva dovuto fare mezza retromarcia, togliendo dal capo d'accusa l'aggravante di avere agito per favorire Cosa Nostra: e a quel punto non si capiva più perché mai Mori e Obinu avrebbero rinunciato a mettere in carniere una preda del calibro di Provenzano. Dettaglio irrilevante, secondo Scarpinato, che nella sua requisitoria aveva indicato tra i moventi «anche l'appartenenza di Mori a servizi segreti deviati e la sua vicinanza a partiti politici di centrodestra». Replica di Mori: «Io di destra? Io ho lavorato con Napolitano, Ciampi, Berlusconi, Prodi, Martino, Previti e prima ancora con Andreotti, Craxi, Forlani, Pecchioli... Sarei stato veramente una banderuola...».

«È un altro importante tassello verso la fine di quella che possiamo definire una persecuzione giudiziaria», dice ieri il legale di Mori, Basilio Milio, dopo la sentenza di assoluzione, e specifica che la persecuzione è avvenuta ad opera di «una parte della Procura di Palermo». Ma il pm Nino Di Matteo non fa autocritica: «Personalmente rifarei tutto quello che ho fatto», dice dopo la assoluzione bis di Mori e Obinu. «Rispetto la sentenza, ma rimango convinto che ci fossero tutti gli elementi di prova per chiedere e ottenere le condanne degli imputati».

LF

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