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Persino gli imprenditori M5s stroncano il testo

Le aziende legate alla «rete Casaleggio» criticano il decreto Dignità: è contro lo sviluppo

Persino gli imprenditori M5s stroncano il testo

Erano la testa d'ariete per la «conquista del Nord». Da sempre un territorio difficile per le ambizioni del M5s. Adesso, dopo il varo del «decreto Dignità», stazionano nelle retrovie del grillismo, pronti ad abbandonare Luigi Di Maio. Gli imprenditori del Lombardo-Veneto un tempo vicini al verbo di Grillo e Casaleggio, potrebbero accelerare il processo di scomparsa dei pentastellati dalle realtà più produttive d'Italia.

Lo stato maggiore è preoccupato. C'è chi parla di una possibile «dissoluzione totale del M5s in Lombardia e Veneto». Conseguenza di una sorta di «patto di desistenza» con la Lega. Una strategia, come abbiamo raccontato su queste pagine il 28 ottobre scorso, portata avanti da Davide Casaleggio già con i referendum per l'autonomia, molto prima delle elezioni politiche e della firma del contratto di governo con Matteo Salvini. Nell'ultimo mese, il dl Dignità ha fatto da detonatore al fenomeno, proprio a partire da quelle aziende che gravitavano intorno ai Cinque stelle.

A questo punto, il pensiero corre subito a Massimo Colomban. Imprenditore trevigiano fondatore della multinazionale Permasteelisa, vicino ai Casaleggio, ex assessore di Virginia Raggi in Campidoglio. E soprattutto ideatore della «Confindustria grillina» Confapri, del network di imprenditori ReteSì Salviamo l'Italia e della fondazione Think Tank Group, nel cui board sedeva il bresciano Vito Crimi, attuale sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega all'Editoria. Tra i «primi partecipanti» all'associazione di Colomban figura anche Diego Fusaro, il filosofo marxista idolo dei «sovranisti».

Per Colomban il decreto voluto da Di Maio «si tradurrà naturalmente in minore occupazione». Della stessa opinione sono i presidenti di alcune associazioni di imprenditori aderenti alla Rete «Sì Salviamo l'Italia». Ad esempio Flavio Lorenzin, a capo di Apindustria Vicenza, che ha commentato: «Introdurre pesanti indennità in caso di licenziamenti è un colpo in primis al lavoro. Non si combatte così la precarietà». Paolo Agnelli, presidente di Confimi Industria, gruppo di imprese manifatturiere membro di «Sì Salviamo l'Italia»: «Chi è già precario, come sono le nostre Pmi, non può garantire stabilità di lavoro». E ancora: «C'è il rischio che gli imprenditori seri, quelli che hanno a cuore l'azienda, i collaboratori, che non assumono in nero, se non hanno ben chiare le prospettive non assumeranno più. Inoltre potrebbero anche non rinnovare i contratti a tempo indeterminato, visto il rischio del ritorno di alcune rigidità».

Insomma, il M5s può perdere parte del suo bacino elettorale al Nord, dopo una breve luna di miele durante il rally «nordista» di Di Maio nella campagna elettorale per le politiche.

A fine giugno, con la pubblicazione delle nuove regole per le restituzioni dei parlamentari, si era è acceso il primo focolaio. Alcune fonti suggeriscono che molte piccole e medie aziende che si erano avvicinate ai grillini ora covano vendetta per le modalità di restituzione degli stipendi che non prevedono più il versamento al fondo per il microcredito alle Pmi.

Si parla di un «conto raccolta» dedicato e di destinazioni da individuare attraverso una votazione su Rousseau.

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