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Il piano controllo dei Cara pronto da due anni. E lasciato in un cassetto

Nel 2015 nacque un programma di ispezioni Al Viminale sedeva Alfano. Non fu mai avviato

Il piano controllo dei Cara pronto da due anni. E lasciato in un cassetto

Che la gestione dei progetti di accoglienza per gli immigrati si potesse trasformare in un business grossolano e senza scrupoli l'aveva messo in conto, già qualche anno fa, anche l'Unione europea concedendo all'Italia di avviare un progetto di monitoraggio sulle condizioni dell'ospitalità. Era il 2015 infatti quando, nel pieno delle indagini su Mafia capitale e identificate le cooperative gestite da Salvatore Buzzi e Massimo Carminati nel giro di affari degli appalti del Cara di Mineo, si incominciò a sentire la necessità di mettere a punto un sistema di controllo capillare nei centri di accoglienza. A sedere sulla poltrona più alta del Viminale c'era Angelino Alfano e lì è rimasto, fino al passaggio del testimone a Marco Minniti. E fermo e chiuso, nei cassetti del Viminale, è rimasto anche il progetto Mireco.

Così si chiama il programma di monitoraggio e miglioramento delle condizioni di accoglienza (Mireco è un acronimo inglese che sta per Monitoring and improvement of reception conditions).Chissà se il ministro Minniti vorrà utilizzarlo come mossa a sorpresa dopo gli arresti che hanno coinvolto l'hub di Capo Rizzuto oppure cercherà di farlo passare sotto silenzio. Fatto sta che nel programma europeo del Fami, il Fondo asilo migrazione e integrazione, ci sono 5 milioni e mezzo di euro vincolati per avviare controlli a tappeto nei centri di accoglienza. Dalla governance dei servizi per gli adulti, a quelli per i minori, per immigrati con problemi di salute mentale, portatori di handicap, famiglie e ancora per i programmi di inserimento e integrazione. Non ultimo per i servizi per i richiedenti asilo e per i rifugiati. Insomma l'intero panorama dedicato alle decine di migliaia di disperati che approdano sulle coste italiane.

Mireco si presenterebbe, e il condizionale è d'obbligo, come piano strategico predisposto dal dipartimento Libertà civili e Immigrazione del ministero dell'Interno per effettuare sopralluoghi, controlli, stilare rapporti, valutare numeri e indicatori dei livelli raggiunti nei centri di accoglienza di tutta la Penisola. Però nessuno ha dato il via al sistema di monitoraggio, né avviato le linee guida per comunicare i controlli o attivato un'ipotetica task force di supporto alle prefetture. Perché sono loro, in prima linea, a bandire appalti per l'accoglienza, gestire fondi e affidare quei servizi specifici per i richiedenti asilo. Eppure già a febbraio scorso il progetto era pronto per partire tant'è che il ministro Minniti l'aveva avocato a se per gestirlo direttamente togliendolo dalla responsabilità del Fami. Ma anche a febbraio non è partito nulla. Così anche a marzo. È stato finanziato soltanto ad aprile ma le linee guida per l'organizzazione e l'eventuale assegnazione devono ancora essere completate.

Intanto però vengono finanziati progetti meno impegnativi ma soprattutto di dubbio valore pratico. Uno a caso è la realizzazione e la stampa di un bimestrale per 12 numeri della rivista «Libertà Civili e Immigrazione»: impegno di spesa 500mila euro. Al contempo sono stati ingaggiati 4 giornalisti per occuparsene direttamente. Curioso pensando che il ministero dell'Interno vanta un ufficio stampa di tutto riguardo. E per concludere la rassegna del superfluo è stato impegnato un altro milione (1.083.176 euro) per raccogliere le videointerviste che i richiedenti asilo farebbero presso le prefetture dei centri che li ospitano.

Qualsiasi funzionario di prefettura con uno smartphone potrebbe svolgere questo lavoro anche grazie all'aiuto di un interprete che, per la legge in vigore, comunque dovrà essere presente all'intervista.

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