Economia

Il Pil arretra, l'Istat conferma A Renzi mancano 10 miliardi

Rivisti al rialzo i dati 2014 e 2015. Ma senza maggiore flessibilità esclusa dall'Ue, in manovra mancano soldi

Il Pil arretra, l'Istat conferma A Renzi mancano 10 miliardi

Nuove ombre si allungano sulla legge di Bilancio. Ieri l'Istat ha comunicato la revisione del Pil 2014 e 2015. Entrambi sono risultati un po' più elevati delle stime precedenti (+8,5 miliardi quello di due anni fa, +6 miliardi quello dell'anno scorso), ma l'effetto che si è generato non è del tutto confortante. Se nel 2014, infatti, non si è registrata recessione ma crescita (+0,1% dal -0,3% precedente), nel 2015 l'incremento si è attenuato (da +0,8 a +0,7). Il rapporto deficit/Pil 2015 è invece rimasto invariato al 2,6 per cento. Ciò che conta maggiormente, però, è che l'effetto di trascinamento dell'anno scorso su quello corrente si è giocoforza attutito. L'Italia resta perciò intrappolata in un sentiero di bassa crescita.

Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ieri sera al Tg1 ha dispensato ottimismo affermando velatamente che la revisione delle stime per il prodotto interno lordo 2016 si avvicineranno all'1%, ma i numeri purtroppo affermano il contrario, visto che si cresce meno di quanto sperabile e che, soprattutto, la produzione industriale si è piantata (vedi articolo sotto). Il vero dramma Padoan ha cercato in qualche modo di occultarlo. «Non c'è nessun confronto con Bruxelles sulla flessibilità per il prossimo anno: l'Italia ha usato le forme di flessibilità previste dalle regole europee e se l'è meritato perché ha fatto le riforme e gli investimenti», ha aggiunto annunciando che si andrà avanti a «usare nel modo migliore possibile le poche risorse disponibili».

O per dirla in maniera molto spiccia, come ha fatto il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta, «servirà una manovra da 30-40 miliardi perché l'Europa non consentirà più di fare deficit spending per soddisfare la brama di potere di Renzi, né sopporta più il debito pubblico troppo alto o tagli di spesa finti». Un chiaro riferimento al nein del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, alla richiesta di alzare l'asticella del deficit 2017.

Basta mettere insieme pochi numeri: la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia sull'Iva (15 miliardi) e le misure su pensioni, contratti pubblici e «Industria 4.0» (oltre 10 miliardi) dovrebbero portare il conto della legge di Bilancio a toccare i 26-27 miliardi di euro. A fronte di queste uscite il premier Renzi e il ministro Padoan contano di recuperare oltre 6 miliardi dalla spending review (metà da tagli e metà dalla centralizzazione degli acquisti tramite Consip) più 4 miliardi dalla collaborazione volontaria sulla denuncia delle attività detenute all'estero. Come ipotizzato nello scorso agosto, si intende cifrare anche il minor costo degli interessi sul debito (grosso modo 5 miliardi).

Manca all'appello grossomodo una decina di miliardi che Renzi vorrebbe recuperare sotto forma di deficit (uno 0,6% di Pil) con un nuovo ricorso a quelle clausole di flessibilità che l'Ue ha già bocciato preventivamente. A ben guardare non si può dare pregiudizialmente torto agli austeri euroburocrati: la revisione Istat ci ha infatti restituito un rapporto debito/Pil più basso ma che cresce in maniera più veloce. Dalla dinamica 132,5-132,7% per il biennio 2014-2015 si è passati a 131,8-132,2 per cento. Questo significa che si è fatto ancora più deficit.

Chiedere perciò di aumentarlo ancora dall'1,8% promesso per l'anno prossimo al 2,4-2,5%, come vorrebbe Renzi, non è proprio un atteggiamento serio.

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