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Il pil delle parole e quello dei numeri

Il pil delle parole e quello dei numeri

La lotta continua tra i due alleati di governo non è un caso. Né un piano inclinato verso la crisi. Bensì una manfrina elettorale (ognuno dei due si rivolge quotidianamente nella sua lingua, ai suoi elettori) per tenere coperto il disastro dell'economia. Se ci fosse un «Pil» delle parole, delle dichiarazioni, delle polemiche, questo sarebbe in crescita almeno a doppia cifra. Ieri è stata la volta della giustizia, «riforma epocale» per Di Maio, « acqua fresca» per Salvini. Settimana scorsa era l'autonomia. Quella prima la Tav. Mentre non c'è un giorno preciso per l'immigrazione: ogni momento è buono per farne una questione nazionale di vita o di morte. Un po' come l'Europa (o l'euro), argomento che sta seduto in panchina e si scalda quando può fare comodo per aizzare le folle. Ma purtroppo l'unico Pil che esiste davvero è il Prodotto interno lordo. E questo è a zero. Fermo. Inchiodato. «Stagnazione» dice l'Istat, che ieri ha certificato la crescita 0% del reddito nazionale per il secondo trimestre dell'anno e per l'intero 2019. Così, per il problema che dovrebbe essere la priorità assoluta per qualsiasi esecutivo, il tandem giallo verde fa lo struzzo. Inventa una caccia ai fantasmi al giorno, ingannando allegramente gli italiani. Anche perché senza prendere provvedimenti di rilancio, il futuro sarà ancora peggio. Per uno degli analisti che ieri hanno commentato i dati Istat - Nicola Nobile di Oxford Economics - quest'anno «non ci sarà crescita economica e i rischi sono dalla parte di un peggioramento». D'altra parte l'Italia è il fanalino di coda d'Europa: il divario medio tra i nostri tassi di crescita e quelli dei Paesi dell'Eurozona è dell'1,5 per cento. L'economia italiana sconta problemi strutturali che, certo, non dipendono da questo giovane esecutivo. Ma la responsabilità di non volerli affrontare seriamente, preferendo raccogliere facili consensi ora qui, ora là, questa sì, è tutta sulle spalle di Salvini e Di Maio. A maggior ragione perché le uniche scelte di politica economica viste fin qui (quota 100 e reddito di cittadinanza) sono state fatte in deficit; mentre sulla variabile più importante ai fini della crescita, quella degli investimenti (privati e pubblici), se possibile il governo ha addirittura remato contro. Così è per i progetti di infrastrutture. Così è stato con la riduzione delle risorse per l'indutria 4.0 o per i Pir (azzerato uno strumento che in due anni aveva portato 15 miliardi di risparmio alle imprese). Senza dimenticare l'autogol dell'ecotassa, che ha gettato il mercato dell'auto nell'incertezza. Il punto è che affrontare la priorità economica non è né semplice né popolare. Meglio il fumo negli occhi.

Mal che vada, le macerie si possono lasciare in eredità a chi verrà dopo.

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