Strage a Nizza

Un po' italiana, un po' araba, mai insicura La mia Nizza era una passeggiata di felicità

Un po' italiana, un po' araba, mai insicura La mia Nizza era una passeggiata di felicità

I n pochi luoghi al mondo ho conosciuto il piacere e la gioia di vivere come sulla Promenade des Anglais a Nizza. Per questo si è moltiplicato in me l'orrore per l'attentato vilissimo e mostruoso che vi ha seminato lutto e morte.

In maniera incruenta ma molto dolorosa sono stato colpito anch'io, i miei ricordi, una parte intera della mia vita, quando, in quel tratto della Promenade, appena uscito di casa dopo tante ore di scrittura, camminavo tutte le sere a passo veloce tra una folla variopinta lasciando che il mare immenso mi entrasse negli occhi e nell'immaginazione.

Le cupole rosa del Negresco mi sembravano i fari di un'isola fatata. Se Torino apparve a Guido Gozzano una «città favorevole ai piaceri», figuratevi Nizza. Che dalla Torino sabauda ha tratto l'architettura splendida della sua piazza centrale, che ha carruggi e chiese barocche come i paesi in Liguria, un'aria elegantemente parigina, una vocazione cosmopolita che attrae visitatori da ogni parte del mondo, e una spiaggia aperta alle onde e lunga parecchi chilometri con una luce che sembra di essere nel sud della California.

Chiunque conosca Nizza non superficialmente, sa che c'è anche il contraltare, c'è l'Ariane con il suo inceneritore e i suoi casermoni tutti eguali e costellati di parabole, e ci sono, allontanandosi dalla riva del mare, intere vie da dove la Francia sembra scomparsa per lasciare il posto al Maghreb.

Ma io, in tanti anni, non ho mai sentito nessun senso di pericolo o di insicurezza. Forse proprio perché abitavo a due passi della Promenade, e lì non c'era emarginazione possibile, i ragazzi venuti dalle periferie si esercitavano a volteggiare sui pattini e sugli skateboard, i colori della pelle dei passanti conoscevano cento sfumature, turisti e nizzardi, ricchi e poveri si mescolavano condividendo la spettacolo meraviglioso che si gode dalle seggiole blu disseminate di fronte a quel mare dalle trasparenze celesti.

Confesso di non essere mai stato bene «nella mia pelle», come dicono i francesi, quanto lo sono stato a Nizza, città di jazz, di musei, di arte moderna, di teatri, di cinema, di mercati e di ristoranti d'ogni tipo.

Città di artisti, se si pensa che vi hanno lavorato Cesar, Arman, Klein, Sosno, Ben, e che tra gli scrittori vi ha trovato approdo Bruce Chatwin e vi ha mosso i primi passi, proprio scrivendo accoccolato sulla spiaggia sotto la Promenade, il futuro premio Nobel Le Clézio.

Quante mattinate, quanti pomeriggi ho passato nei caffè di Nizza, sul tavolo un taccuino, una penna, i giornali, a scrivere e a fare progetti di libri, distratto soltanto dalla meraviglia delle ragazze di ogni razza che passavano. Tutto quello che Nizza rappresenta, oggi mortalmente ferito, sento che va difeso con tutte le forze. Rilanciato in tutti i modi.

Non si può cedere al lutto o alla rassegnazione. E neppure al gusto della provocazione dissacrante e dell'odio. Bisogna continuare a credere nella nostra civiltà, che, con i suoi errori, ha tuttavia creato i presupposti per una società in cui regnino tutte le libertà, e ai doveri si accompagnino i diritti: dell'uomo e, come proclamava Victor Hugo, dell'anima.

E diritto principale dell'anima è quello di tendere, nella libertà, alla bellezza e alla gioia. I mussulmani dovranno impararlo, lottando in prima linea contro i terroristi che infangano il nome di Dio «clemente e misericordioso».

I terroristi non lo impareranno, e, poiché la vita vince sempre contro la morte, saranno sconfitti per questo.

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