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Dopo sei mesi di promesse adesso #maddeche dovrebbero dirlo gli italiani

Il premier è attivissimo su Twitter dove ha annunciato risultati di cui pochissimi si sono accorti

Dopo sei mesi di promesse adesso #maddeche dovrebbero dirlo gli italiani

Roma - La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, come diceva Mao Zedong. Ma non è nemmeno un hashtag , come sembra convinto Matteo Renzi, che da mesi twitta cancelletti con slogan a effetto che dovrebbero dare il senso del cambiamento: #lavoltabuona (anche nella versione #laSvoltabuona ), #italiariparte , #eppursimuove , #cambiaverso , #coseconcrete , #proviamoci , #cominciamoildomani , #noalibi. Fino al tweet di ieri: «I giornali di agosto sono pieni di progetti segreti del governo. Talmente segreti che non li conosce nemmeno il governo». Il tutto seguito da due hashtag nuovi di zecca: #nonesiste e #maddeche. Espressione romanesca, questa, che indica ironica disapprovazione e che sembra inaugurare l'era del #renzirapper .

Il fatto è che «ma de che!» lo potrebbero dire in coro, con o senza cancelletto davanti, sessanta milioni di Italiani compulsando la lista delle riforme promesse e non fatte (o fatte solo a spizzichi e bocconi, o fatte in ritardo) dal giovane e comunicativo premier. Che il 22 febbraio scorso, ovvero quasi mezzo anno fa, nel suo discorso di investitura a Palazzo Chigi, fece una promessa solenne: una riforma al mese nei primi cento giorni. Il cronoprogramma era il seguente: a febbraio le riforme costituzionali ed elettorali, a marzo quella del lavoro, ad aprile la pubblica amministrazione e a maggio il fisco. Mancava solo la moltiplicazione dei pani e dei pesci. #forseagiugno?

Sappiamo com'è andata. Non un fallimento su tutta la linea ma un percorso pieno di divagazioni, rattoppi, spacchettamenti e compromessi. Al punto che ora l'ex sindaco di Firenze ha prudentemente aggiunto uno zero ai cento giorni, preferendo cambiare l'Italia in mille giorni. #renziripartedazero.

Parti amo dalle riforme istituzionali. Lo sbianchettamento del Senato tradizionale e la nascita di quello «light» dei cento tramite ddl è stato approvato dal Senato solo a luglio e deve ancora avere almeno altre tre letture (se non quattro) dalle Camere, oltre al promesso referendum popolare. Quanto all'Italicum, dopo una prima approvazione alla Camera si è arenato in commissione al Senato e non si è più nemmeno sicuri se resterà quella strana bestia in gabbia che è attualmente. #pregoripassare .

Il lavoro era la seconda emergenza in ordine cronologico, probabilmente la prima per urgenza. Renzi ha dato alla faccenda un nome accattivante da serial tv americano («Jobs Act»), ma poi l'ha trasformata in un decretino (il ddl Poletti) svuotato di gran parte dei contenuti. La ciccia vera, i contratti, l'articolo 18, gli ammortizzatori sociali, sono affidati al secondo tempo della riforma che ora si spera veda la luce entro il 2014. Palazzo Chigi è costretto ad attendere che però il Parlamento voti la legge delega che lo autorizza a legiferare. #vieniavantidecretino.

Ad aprile sarebbe dovuta partire la riforma della pubblica amministrazione. Ma anche in questo caso il calendario è diventato carta straccia. Un pezzo della riforma è stata già varata ma il grosso, come nel caso del lavoro, è affidato a una legge delega che appare ancora lontana. #unaltroritardo .

Infine il fisco, obiettivo di maggio. Qui lo strumento per agire il governo lo avrebbe già in mano, una legge delega votata dal Parlamento a marzo ma che non ha prodotto finora granché. Renzi ha promesso la semplificazione fiscale e un 730 precompilato già nel 2015. #staremoavedere.

E poi ? E poi c'è tutto il resto. La riforma della giustizia che è ancora una nebulosa di buone intenzioni. Le Province che sono state non proprio abolite ma riformate. Lo sbloccaitalia che dovrebbe essere affrontato nel primo consiglio dei ministri del dopo-ferie il prossimo 29 agosto. L'edilizia scolastica che attende l'annunciato miracolo. Come del resto noi.

#piùriformemenohashtag .

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