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Il premier non chiude al voto anticipato. La bugia sul caso Boschi

«Le urne: non sono una minaccia». Dice di aver voluto l'ex ministro ma è il contrario

Il premier non chiude al voto anticipato. La bugia sul caso Boschi

Roma - Gentiloni blinda la Boschi, difende Lotti e gioca d'azzardo con Verdini. Puntuale come il the alle 5 per gli inglesi, arriva la domanda più scomoda per il premier: perché confermare, anzi promuovere, la madre della riforma così brutalmente bocciata dagli italiani? E qui a Gentiloni tocca mentire: «Non credo sia un autogol; e non credo che il referendum sia stato un referendum sul governo». Invece autogol è stato se per settimane l'ex ministra delle riforme è stata sbeffeggiata per aver spergiurato di lasciare poltrona e carriera politica in caso di sconfitta il 4 dicembre. Invece della retrocessione per lei è arrivato l'avanzamento in carriera. Gentiloni se ne assume tutte le responsabilità anche se tutti sanno che è stata la ministra a pretendere la seggiola. Anche contro il parere di Renzi, di fatto l'unico a rimetterci la ghirba politica: «Maria Elena Boschi, attualmente sottosegretaria alla presidente del Consiglio, è una risorsa molto utile e di grande qualità - spiega il premier in conferenza stampa - E, che ci si creda o no, sono io che ho chiesto a Maria Elena di fare questo lavoro; e credo possa farlo bene, nell'interesse del governo».

Anche l'altra spina nel fianco del premier non viene affatto tolta. Difesa a oltranza del neo ministro dello Sport Luca Lotti, invischiato nell'affare Consip. Gentiloni non entra nel merito dell'inchiesta ma fa scudo al braccio destro di Renzi: piena fiducia nel lavoro della magistratura ma anche massima considerazione per il ministro dello Sport. Qualcuno mente ma delle indagini il premier non vuole parlare: «Non mi si chieda di fare il giudice, non sono i miei studi - dice il premier - i giudici saranno i giudici, non ho intenzione e possibilità di entrare nel merito della vicenda. Le persone coinvolte, il ministro Lotti e il generale Del Sette, godono della mia massima considerazione e io non credo che le iniziative giudiziarie di cui sono stati oggetto impongano al governo di prendere decisioni che a mio avviso sarebbero ingiuste e ingiustificate. L'inchiesta si svilupperà, la magistratura fa il suo dovere e la fiducia nel lavoro della Procura di Roma è totale».

Così, il governo appena nato prosegue nel suo cammino. Per quanto? Gentiloni nicchia: «Non sono un indovino. Quello che posso fare è cercare di fare bene il mio lavoro.Non si può vedere il voto come una minaccia, il governo lavora finché ha la fiducia del Parlamento». Di fatto, però, si è appena consumato uno strappo con i verdiniani di Ala. Loro si aspettavano una ricompensa per l'appoggio al governo Renzi ma Gentiloni ha sbattuto la porta in faccia. Minimizza, il premier: «La maggioranza è confortevole alla Camera, meno al Senato. Ma in Europa ci sono governi che convivono con maggioranze meno confortevoli». Però il vice ministro Zanetti non è stato riconfermato. Gentiloni spiega: «Non è una rottura con Ala. La mia decisione è stata quella di confermare la maggioranza che ha fin qui sostenuto il governo e confermare l'apertura con chi vorrà appoggiare caso per caso il governo, come nel caso di Ala». Zanetti? «Io l'avrei riconfermato ma lui non ha voluto. Una decisione che rispetto».

In effetti nella squadra dei sottosegretari sono poche le novità: escono Zanetti e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Nannicini; si scambiano di posto Davide Faraone (che va all'Istruzione) e Vito De Filippo, alla Salute.

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