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Mario Draghi, l'ingrato di successo che ha quasi vinto

Il presidente della Bce fu messo a capo di Bankitalia da Berlusconi, che non ha mai più ringraziato Ma è sempre nel posto giusto al momento giusto

Mario Draghi, l'ingrato di successo che ha quasi vinto

S e nella battaglia per raggiungere un accordo sul debito greco si può assegnare un ruolo di «quasi vincitore», esso va attribuito di certo al presidente della Bce, Mario Draghi. E quel «quasi» non è superfluo. Non tanto per le difficoltà insite nella traduzione in atti normativi dell'intesa raggiunta a Bruxelles dai Paesi dell'area euro, quanto per il fatto che a narrar questa impresa si troverà molto meno eroismo di quanto si possa credere.

Certo, l'opinione pubblica e i media riconosceranno ancora una volta a Super Mario il ruolo di salvatore della moneta unica, come tre anni fa quando con il suo whatever it takes («Qualunque cosa sia necessaria») fece comprendere ad Angela Merkel e a Wolfgang Schäuble che non avrebbe più tollerato attacchi speculativi ai debiti sovrani. Vi è, però, anche un lato meno nobile della vicenda: 25 miliardi degli oltre 85 che dovrebbero essere prestati ad Atene andranno direttamente nei forzieri dell'Eurotower a titolo di rimborso di modo che il bilancio della Banca centrale europea non abbia a risentire di eventuali nuove turbolenze. Anche questa è stabilizzazione dell'euro ma, secondo i rumor, sia a Draghi che alla collega dell'Fmi Christine Lagarde stava più di tutto a cuore il rientro delle esposizioni greche. Con buona pace dei laudatores in servizio permanente effettivo.

Lo schiaffo virtuale inferto al potente ministro delle Finanze tedesco esalta l'orgoglio italiano come se si trattasse di una partita dei Mondiali. Schäuble che interrompe l'Eurogruppo urlando contro Draghi: «Non prendermi per uno stupido». Lo stesso Schäuble che l'anno scorso telefonò a Draghi pretendendo spiegazioni sul suo discorso a Jackson Hole, negli Usa, quando si scagliò contro l'austerity, cioè contro Merkel e compagnia. Fa tutto parte della narrazione. La Bundeskanzlerin che trama con pezzi del Pd e del centrodestra per farlo eleggere successore di Napolitano in modo da liberarsi di uno scomodo avversario. Merkel che cerca per ben due volte di convincere Matteo Renzi a trovargli un'altra sistemazione. Un affronto pagato con la totale irrilevanza (non che poi ne avesse tanta) in sede europea.

A Renzi, se non è altro, è andata meglio di Silvio Berlusconi. Chi mise Draghi a capo di Bankitalia dopo gli scandali dei «furbetti»? Il Cavaliere. Chi si scontrò con la Germania per imporlo alla presidenza della Bce? Sempre il Cav. Il quale perse anche il sostegno di Sarkozy a causa di Lorenzo Bini Smaghi che non voleva liberare il posto nel consiglio di Francoforte per l'esponente francese. Il resto della storia è noto: fu l'inizio della fine corredato da quella disgustosa sceneggiata franco-tedesca del sorrisetto Merkel-Sarko. Meno noto è il fatto che Draghi non abbia mai colloquiato con Berlusconi dopo che quest'ultimo gli annunciò l'intenzione di candidarlo. Nemmeno una telefonata di ringraziamento.

Un ingrato ma con uno straordinario talento: è sempre al posto giusto nel momento giusto. Come il 2 giugno del 1992 quando sul panfilo Britannia il direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, descrisse le potenzialità delle privatizzazioni a una schiera di banchieri dell'associazione British Invisibles . O quando al seguito del ministro Carlo Azeglio Ciampi indottrinava la stampa sulle magnifiche sorti e progressive dell'euro e sulle necessità delle correzioni di bilancio del governo Prodi. Il tempismo è una qualità che non difetta al presidente della Bce. Da giovane presidiò la porta del governatore di Bankitalia, Guido Carli, per riuscire a strappare cinque minuti di attenzione all'economista Franco Modigliani per convincerlo a portarlo con sé al Massachusetts Institute of Technology. Ovviamente, vi riuscì.

Queste qualità possono anche rientrare nel novero delle virtù. E, di certo, non si può misconoscere che, senza Draghi alla Bce, lo spread italiano sarebbe ancora a 500 punti e che, senza l'immissione di liquidità voluta dal numero uno dell'Eurotower, il Pil italiano nel 2015 sarebbe ancora sottozero. Tanto basta a considerarlo il vero Super Mario dell'economia (titolo che Monti vorrebbe per sé). Per essere un eroe ci vorrebbe anche qualcosa di più umano come le debolezze del Pelide Achille o i colpi di testa di un Maradona. È un italiano poco italiano: lo si vede dal fatto che non indossa il cappotto d'inverno come i ragazzi di Harvard. Il suo unico «vizio», invece, sono i videogames del cellulare quando viaggia in aereo. Il che lo rende più umano di quanto faccia il suo ruolo.

Non abbastanza per meritare la gloria.

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