Politica

Il futuro del Pd dipende dall'Italicum

Il presidente del Consiglio snobba la kermesse, ostenta ottimismo e si gioca tutto nella Direzione di domani

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi

Matteo Renzi sceglie il giorno in cui il leader della Fiom porta le sue truppe in piazza a Roma, e lancia anatemi contro il governo affamatore di popoli e «peggio di Berlusconi», per lanciare una nuova offensiva di ottimismo.

Mentre il ministro Maria Elena Boschi annuncia un innalzamento della previsione di crescita, dallo 0,6 allo 0,7% (e in realtà il governo si tiene più basso rispetto alle previsioni di altri enti), il premier si fa sentire via Facebook : «Continuano i segnali positivi per le famiglie italiane», annuncia. E li mette in fila: il calo della bolletta elettrica e del gas, la «storica inversione di tendenza nel commercio» annunciata da Confcommercio, che con un quasi 3% in più stanno a segnalare una «ripresa dei consumi»; lo «storico contratto» della Carnival con la Fincantieri per produrre navi da crociera. E naturalmente i 79mila contratti a tempo indeterminato in più. «Tutti segnali», conclude, «che sono la spinta a fare ancora di più e ad accelerare sulle riforme». A cominciare da quella elettorale, su cui il premier non vuole farsi trascinare nella «palude» dalle resistenze interne al suo partito.

La conta di lunedì in Direzione si avvicina, e Renzi sa bene che la minoranza del Pd si accinge ad alzare contro di lui il cartellino rosso votando no alla sua richiesta di chiudere la partita sulla legge elettorale approvando definitivamente l'Italicum. Ma sa anche che quei potenziali no nell'organo di partito non si trasformeranno in altrettanti no in Parlamento. La minoranza è divisa in mille rivoli, come si è visto anche ieri nella piazza Fiom: ci sono andati i pasdaran tipo Civati, Bindi e Fassina, che guardano alla «coalizione sociale» landiniana come ad una ciambella di salvataggio per mollare il Pd a trazione renziana senza restare a piedi. Gli stessi che, probabilmente, diserteranno la Direzione, come ha annunciato ieri Civati: «Non parteciperò ad un dibattito già definito in partenza». Il grosso dei bersaniani invece (seguendo la linea della Cgil di Camusso piuttosto che quella di Landini), se ne sono stati a casa. O hanno preso seccamente le distanze, come il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano: «Non vado perché non condivido i contenuti di quella manifestazione». E su quella divisione, che è anche in gran parte generazionale, punta Renzi per staccare finalmente le nuove leve parlamentari dai vecchi leader come D'Alema e Bersani e convincerli ad emanciparsi da una tutela che ormai sta stretta a molti. La posta in gioco deve essere chiara: l'approvazione finale dell'Italicum è uno snodo chiave della legislatura, e deciderà della sua durata. Se la riforma dovesse venire affossata, magari a colpi di voti segreti come minacciano dalla minoranza, il premier sarebbe pronto a trarne le conseguenze. Che si tratti della battaglia finale è chiaro a tutti: una volta portato a casa l'Italicum, col premio alla lista e i capilista bloccati, Renzi avrà in mano il volante del proprio partito.

E il tempo della fronda continua sarà finito.

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