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Pretendono soldi e cellulare: il business dei baby immigrati

Ogni anno l'Italia spende 360 milioni di euro per mantenerli. Sono soprattutto maschi di 15-17 anni accompagnati nel nostro Paese dagli stessi genitori. Sicuri che non saranno rimpatriati

Pretendono soldi e cellulare: il business dei baby immigrati

Non arrivano con i barconi salpati dall'Africa recuperati dalle navi della Marina militare ma in auto, pullman, traghetto, addirittura in aereo con tanto di passaporto timbrato. Di solito si fanno trovare davanti alle questure, lasciati dagli stessi genitori o da amici che conoscono bene la trafila che li attende in Italia: le autorità li schedano e li segnalano, ma poi li iscrivono al Sistema sanitario, danno loro soldi e vestiti, un telefonino per chiamare i genitori lontani e un alloggio in comunità o in centri di accoglienza come quelli di Tor Sapienza a Roma. Sono per lo più maschi tra i 15 e 17 anni che sanno il fatto loro. Sanno soprattutto che per ciascuno di loro l'Italia spende 100 euro al giorno, 360 milioni l'anno a carico dei contribuenti.

È il business dei minorenni stranieri. La burocrazia li chiama minori non accompagnati, in fuga da crisi e guerre, soli, allo sbando, in cerca di asilo. È proprio così? Soltanto per pochi. La gran parte di loro si muove con criterio, traghettati da parenti o amici verso la rete di soccorso italiana che non ha eguali in Europa. Altrimenti non si spiega come mai, tra le cinque nazioni a maggiore densità di «separated children» (Gran Bretagna, Svezia, Belgio, Austria e appunto Italia), da noi si concentra il 56 per cento delle presenze complessive. In tutto il 2013 erano presenti 6.319 minori non accompagnati, nei primi 10 mesi del 2014 siamo balzati a 9.859: + 56 per cento. Numeri esplosivi, cui vanno aggiunti quasi 3.500 irreperibili, un terzo del totale. Nove su 10 sono maschi tra 15 e 17 anni, adolescenti che non cercano protezione internazionale (l'anno scorso hanno richiesto asilo appena il 12 per cento e nel 2014 sono saliti al 20) ma puntano ad avere casa, cibo, vestiti, scuola, sanità, formazione professionale forniti dall'Italia.

Nel volume Separated children (Franco Angeli editore) si legge tra l'altro: «Nel nostro paese risulta maggioritaria la tipologia di minori non accompagnati che emigrano dal luogo di origine per motivi economici, nella cornice di un progetto lavorativo molto spesso condiviso dai genitori e che talora prevede anche una prima fase dedicata allo studio». Mescolati ai profughi si trova dunque una moltitudine di ragazzi che non sono abbandonati dalle famiglie, ma spinti verso l'Italia dai parenti che se ne liberano. Lo confermano i dati sulla provenienza: al primo posto non si trovano aree di crisi come il Centro o il Corno d'Africa né il Medio Oriente, ma Egitto e Albania, nazioni relativamente tranquille. Fino all'anno scorso il flusso era consistente anche dal Bangladesh. Ma, rileva il ministero del Lavoro nell'ultimo dei suoi report periodici, «si registra un dimezzamento delle presenze che deve essere collegato anche alle indagini e agli interventi che le autorità di pubblica sicurezza hanno attivato nei confronti di organizzazioni malavitose che favorivano l'ingresso illegale nel territorio nazionale».

Esistono dunque mercanti di minori raramente combattuti nei paesi d'origine, come documenta un recente reportage dalla Sicilia del quotidiano britannico The Guardian. Racket che gestiscono la tratta dei ragazzi finanziati dai genitori e che contano su teste di ponte in Italia. Questi ragazzi non sono rifugiati o vittime di guerra che chiedono asilo, ma clandestini che fanno affidamento sul nostro sistema di welfare. Per pochissimi di loro possono essere attivate le procedure di rimpatrio per il ricongiungimento con i genitori. Nei tre mesi fra il 30 giugno e il 30 settembre 2014 sono state svolte soltanto 132 indagini familiari, prevalentemente in Albania, Kosovo e Bangladesh. L'Egitto, primo paese di emigrazione, non autorizza indagini per rintracciare i familiari dei minori riparati in Italia. L'accoglienza per i minori grava sul ministero del Lavoro e sui comuni. Spese elevatissime. Il dicastero di Giuliano Poletti dichiara che l'Emergenza Nord Africa è costata oltre 73 euro al giorno per ogni immigrato; ma per i minori non accompagnati se ne devono aggiungere altri 20, stanziati da fondi speciali. Quasi cento euro quotidiani, 3mila euro mensili per ogni minore spedito dalle famiglie a cercare fortuna in Italia. I soldi non finiscono in tasca ai ragazzi ma alle comunità convenzionate con gli enti locali, in tutto un migliaio distribuite soprattutto in Lombardia, Lazio e Sicilia. Le regioni fissano le rette standard per le strutture convenzionate che però non riescono a far fronte alla massa di richieste. Le 943 strutture autorizzate accolgono due minori su tre mentre nelle 35 non autorizzate (concentrate soprattutto in Sicilia) trovano posto gli altri. In questo caso sono le strutture a fare il prezzo, e qui si raggiungono anche 120-130 euro al giorno per ogni minore ospitato, nemmeno fossero alberghi a 4 stelle. Il prezzo non scende nonostante il rischio dei ritardi nei pagamenti, sempre in agguato quando chi paga è lo stato (in questo caso il Viminale attraverso le prefetture). Secondo il quinto rapporto Anci/Cittalia, il costo medio giornaliero per il collocamento di un minore in strutture di prima accoglienza è di 88 euro: al Nord se ne sborsano 100, al Sud 83, al Centro 80 e nelle isole 76. L'elenco degli interventi è lungo: assistenza e protezione (collocamento in una struttura, segnalazione in questura e al tribunale dei minori, richiesta del permesso di soggiorno, indagini familiari), scuola o formazione professionale, prima assistenza (igiene, cibo, abiti, interpreti, psicologi).

Il sistema è sul punto di esplodere. Ma al ministero dell'Interno stanno studiando il modo di spendere ancora di più. Angelino Alfano ha messo il prefetto Mario Morcone a capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, in pratica il coordinatore dell'accoglienza. Morcone, casertano, è un ex uomo di De Mita, ex commissario del Comune Roma dopo le dimissioni di Walter Veltroni, ed ex capo di gabinetto del ministro Andrea Riccardi nel governo Monti. Ma soprattutto nel 2011 è stato candidato da Pd e Sel a sindaco di Napoli in una lista civica senza arrivare al ballottaggio. Nonostante l'ingresso in politica, Morcone non ha lasciato la carriera di prefetto. Ora attraverso il programma Sprar vorrebbe togliere ai comuni la competenza sull'assistenza e finanziare direttamente le strutture di accoglienza con il sistema «vuoto per pieno», cioè come se esse fossero sempre piene. Ha l'appoggio dell'Associazione dei comuni italiani, che si sgraverebbero di un compito sgradito e oneroso.

Ma soprattutto è sostenuto dal mondo di comunità, associazioni, coop per le quali l'accoglienza dei minori è un vero affare.

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