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Primarie Pd il 30 aprile. Renzi perde il voto a giugno

Il segretario uscente cede sul calendario ma non sul tesseramento. Affluenza a rischio per il "ponte"

Primarie Pd il 30 aprile. Renzi perde il voto a giugno

Finalmente c'è la data: le primarie del Pd si terranno il 30 aprile. Ed è una data che «chiude definitivamente la discussione sulle elezioni a giugno».

A sottolinearlo con forza è Piero Fassino, che ieri è intervenuto alla Direzione Pd, chiamata a ratificare regolamento e calendario delle primarie, per spiegare che «il governo Gentiloni è nella pienezza delle sue funzioni e non è né transitorio né temporaneo» e che «il Pd lo sostiene in tutti i passaggi». E, nel dare l'interpretazione autentica di una scelta che condiziona l'agenda politica italiana, Fassino spiega: «È una soluzione positiva che rasserena il clima e che rende più evidente quanto era stato detto all'Assemblea nazionale della scorsa domenica: non c'è alcun nesso tra il dibattito interno al Pd e la durata del governo Gentiloni».

La scelta è caduta sul 30 aprile dopo un estenuante braccio di ferro nella commissione congressuale, dove i renziani insistevano per il 9 aprile, mentre i rappresentanti di Orlando e Emiliano puntavano sul 7 maggio, ultima data utile prima che inizi la campagna per le Amministrative. Il compromesso raggiunto ieri mattina si attestava sul 23 aprile, poi un nuovo assalto degli sfidanti di Renzi ha portato allo slittamento di un'altra settimana. Ma i renziani si mostrano soddisfatti: «Non c'è stata nessuna forzatura da parte nostra, abbiamo consentito un mese in più di congresso e siamo venuti incontro alle richieste di Orlando e di Emiliano». Certo, probabilmente Renzi - partendo largamente avvantaggiato - avrebbe preferito concedere meno tempo per la campagna elettorale agli avversari. Senza contare le preoccupazioni per l'affluenza alle urne, visto che il 30 aprile, candendo in mezzo al ponte gigante tra 25 aprile e 1 maggio, è una data più da vacanza che da attività di partito.

Ma alla fine ha preferito non pretendere troppo e mostrarsi «uno che unisce», dicono i suoi. Che hanno però tenuto duro su un punto: il tesseramento verrà chiuso entro il 28 febbraio, chi a quella data sarà fuori non parteciperà al congresso (mentre le primarie restano aperte). Una decisione che penalizza chi, come Emiliano, fuori dalla Puglia non ha nessuna base nel Pd. E infatti a contestarla sono stati i suoi supporter, come Francesco Boccia, incassando però un niet dal vicesegretario Lorenzo Guerini. A questo punto la gara tra i tre candidati democrat è aperta. «Il congresso - ricorda il renziano Matteo Ricci - sceglie il segretario, che è anche il candidato premier. Dal 30 aprile il Pd sarà pronto alle elezioni, che si tengano il prossimo febbraio o prima». Il primo appuntamento, per Renzi (che torna domani dagli Usa) sarà il 10 marzo al Lingotto di Torino, dove l'ex premier lancerà il proprio programma.

Intanto oggi debuttano i gruppi scissionisti di Bersani e D'Alema, che però rimangono prudentemente dietro le quinte lasciando che siano i «giovani» Roberto Speranza e Arturo Scotto (ex Sel), con il governatore della Toscana Enrico Rossi, ad esibirsi in una conferenza stampa al vecchio Mattatoio di Roma, ora trasformato in mercatino di street food. Sarà un «movimento» e non un nuovo partitino, spiegano. E si chiameranno «Democratici & progressisti» (in sigla: Dp, come Democrazia proletaria).

E un sondaggio di Mannheimer li dà al 2%, sotto la soglia di sopravvivenza per entrare in Parlamento.

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