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Primarie, Trump "spegne" l'effetto Bush

Il tycoon batte lo sfidante Cruz nonostante l'appoggio della famiglia dell'ex presidente. Hillary Clinton vicinissima alla nomination

Primarie,  Trump "spegne" l'effetto Bush

New York - Donald Trump e Hillary Clinton sono sempre più lanciati verso la nomination e lo scontro finale per la conquista della Casa Bianca. Nella notte del «Western Tuesday» i due conquistano a mani basse l'Arizona, il più importante degli Stati occidentali in cui si è votato per le primarie. Una vittoria che rappresenta un'altra importante prova di forza dell'ex first lady e del tycoon newyorchese, sempre più concentrati su un eventuale futuro scontro diretto. E che mostra la situazione nera per gli sfidanti dei front runner, in particolare Bernie Sanders e Ted Cruz, il quale però incassa a sorpresa l'endorsement di Jeb Bush. In campo democratico, il senatore del Vermont non molla e tiene Idaho e Utah, ma perde sonoramente in Arizona, lo stato che assegna il maggior numero di delegati. Hillary li vince tutti e porta il totale a 1.711 (per la vittoria della nomination dem ne servono 2.383). Ancora una volta a sostenere l'ex segretario di Stato sono stati soprattutto gli elettori meno giovani e le minoranze. Parlando da Seattle, nello stato di Washington, prossima tappa delle primarie dell'Asinello, la Clinton sembra guardare già oltre la battaglia di partito, attaccando i principali contendenti del Grand Old Party. «L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono leader che incitano alla paura», attacca. Nel mirino come sempre c'è principalmente lui, «The Donald»: «Di fronte al terrorismo l'America non deve cedere al panico - continua l'ex first lady - Non deve costruire muri o voltare le spalle agli alleati. Quello che Trump propone non solo è sbagliato, ma è pericoloso».La partita repubblicana, invece, vede proprio il re del mattone vincere il «Grand Canyon State» e incassare i suoi 58 delegati, portando il totale a 741 contro i 461 di Cruz e i 145 di John Kasich. È ancora distante dai 1.237 delegati necessari per aggiudicarsi la nomination, ma lui si sente forte e su Twitter commenta: «Se tutto va bene il partito repubblicano potrà unirsi, e a novembre ottenere una grande vittoria». Un invito nemmeno troppo velato ai rivali a farsi da parte. Il senatore ultraconservatore, però, sembra rappresentare l'ultima spiaggia per l'establishment del partito, che potrebbe decidere di puntare su di lui per fermare l'ascesa inarrestabile di «super Trump». Cruz deve cercare di capitalizzare la vittoria nello Utah di Mitt Romney (che invece ha dato il suo appoggio a Kasich), e un endorsement importante, quello di Jeb Bush. Il sostegno dell'ex candidato Gop parte della corrente moderata del partito, all'interno della quale Cruz non gode invece di particolari simpatie, gli assicura l'appoggio di una grande famiglia, influente sulla base repubblicana e soprattutto con una vasta rete di donatori. E potrebbe essere il segnale che il Grand Old Party abbia deciso di «tapparsi il naso» scommettendo su di lui. Un'ipotesi, questa, che non piace a tanti, ma che ad oggi sembra l'unica possibile strada per impedire al miliardario di conquistare la nomination.E il galvanizzato senatore del Texas, per tutta risposta, assicura di essere in grado di battere Hillary. Anche se nei suoi confronti arriva una pesante critica, quella del presidente Barack Obama, che nel corso di una conferenza stampa a Buenos Aires spiega come l'invito del candidato repubblicano ad aumentare la sorveglianza nei quartieri musulmani non ha senso ed è contrario ai valori americani.

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