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La procura sente puzza di truffa Aperto un fascicolo sui vertici

L'ipotesi: pressing sui dipendenti per vendere i bond tossici. E il procuratore respinge le accuse per la consulenza a Renzi

La procura sente puzza di truffa Aperto un fascicolo sui vertici

La palazzina rosa a tre piani è appena fuori dal paese di Laterina. È la casa di Pier Luigi Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria e padre del ministro delle Riforme, Maria Elena. «Eh, non lo so se è casa Boschi, questa», abbozza un uomo che sta lavorando in giardino. A toglierlo d'impaccio arriva una donna. «Chi cercate? Mio marito non c'è, io sono la signora Boschi», spiega Stefania Agresti, mamma del ministro. Vestita di nero, sul vialetto che porta all'ingresso, alla domanda «ora siete più sereni?» accenna un sorriso e allarga le braccia. «Adesso aspettiamo la verità», spiega aprendo il cancello, prima di infilarsi nella piccola Mercedes scura e filare via. Ieri il procuratore capo della procura di Arezzo, Roberto Rossi, ha prima dovuto rintuzzare la notizia dell'apertura di un fascicolo da parte del Csm sulla sua incompatibilità a seguire l'inchiesta, dato il suo ruolo di consulente del Dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi. Rossi in una nota ha ribadito che quell'incarico fuori ruolo «è stato espressamente autorizzato dal Csm». Insomma, tutto trasparente, spiega il magistrato titolare di tutte le inchieste aretine su Banca Etruria, l'ultima delle quali ipotizza il reato di truffa e si fonda sulla pioggia di esposti e denunce dei risparmiatori. Finora si indagava sul management per false fatturazioni, ostacolo all'autorità di vigilanza, sul conflitto di interessi per i fidi munificamente «autoconcessi» da manager e sindaci della banca salvo poi far finire incagliate o in sofferenza quelle somme. Tutte inchieste che mettevano in luce anomalie e malagestione di quella che un tempo era la «banca dell'oro». Oltre all'indagine romana sulle carenze nei controlli da parte di Consob e Bankitalia, additate, in particolare dall'Adusbef, come corresponsabili del disastro di Banca Etruria, avvenuto a spese dei risparmiatori e a onta della vigilanza.L'ultimo filone, invece, parte dal basso - raccogliendo le tantissime denunce degli «esodati del risparmio» - e minaccia di puntare molto in alto, passando dai funzionari che hanno convinto i clienti a sottoscrivere quei bond ai direttori e via salendo di livello, fino a coinvolgere i dirigenti di vertice dell'istituto di credito toscano. Il procuratore Rossi ha aperto un fascicolo con l'ipotesi di truffa ma non ci sono al momento indagati.D'altra parte non sembra un mistero che ci siano state pressioni sui dipendenti della Bpel perché facessero di tutto per spingere la clientela a riempirsi il portafoglio di titoli tossici. Lo ha raccontato per esempio l'ex dipendente di Banca Etruria che aveva venduto i bond a Luigino D'Angelo, il pensionato di Civitavecchia che poi si è suicidato per aver perso tutto. Dicendosi pentito per aver consigliato quell'affare, ma rivelando anche di essere in pratica stato costretto a piazzare ai clienti quella bomba a orologeria. E lo ha confermato qualche giorno fa il settimanale del Sole 24 ore Plus24. Che ha pubblicato una mail piuttosto eloquente in questo senso, risalente al giugno del 2013, nella quale il responsabile Private di Banca Etruria si «complimentava» per i primi dati di collocamento dell'obbligazione subordinata poi divenuta carta straccia. Che effetto abbia avuto per i risparmiatori investire i soldi nel titolo che i vertici di Banca Etruria tenevano così tanto a piazzare, è cronaca degli ultimi giorni.

E, ora, è anche materia allo studio della procura di Arezzo, che sente odore di truffa.

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