Cronache

La profezia di Panebianco sulla "muffa"di Bologna

I violenti di oggi sono gli stessi che contestarono il professore l'anno scorso. Usando slogan ritriti

La profezia di Panebianco sulla "muffa"di Bologna

Alla richiesta del Giornale di un parere sulle violenze «antagoniste» di questi giorni all'ateneo di Bologna, il professor Angelo Panebianco oppone un cortese ma fermo diniego. Un «no» figlio di brucianti esperienze personali. E la memoria va subito a due incresciosi episodi di arrogante ignoranza di cui il politologo è stato vittima proprio nell'Università Alma Mater, dove Panebianco insegna Scienze politiche.

Protagonisti di quei blitz vigliacchi furono gli stessi «capetti» dei collettivi che oggi tengono in scacco la città delle due Torri, in un rigurgito di deriva contestataria. Il primo caso risale al 2014 quando un gruppetto di autonomi alzò un muretto di cemento e filo spinato davanti alla porta dello studio di Panebianco; la seconda «contestazione» è dello scorso anno quando un manipolo di pseudo-studenti fece irruzione nell'aula dove Panebianco faceva lezione rinfacciandogli di «avere le mani sporche di sangue» per un articolo scritto «in favore della guerra»: accuse talmente deliranti che la totalità degli studenti (quelli veri) si schierò dalla parte di Panebianco mostrandogli «vicinanza e solidarietà».

«Non ho mai fatto né farò mai dichiarazioni su quella vicenda», dice al Giornale il professore. Il quale, tuttavia, all'indomani di quella brutta vicenda, vergò sulla prima pagina del Corriere della Sera un lucido editoriale il cui senso può perfettamente valere per gli scontri e le tensioni che anche oggi stanno turbando la serenità dell'università bolognese. Del resto dalla data della pubblicazione di quel commento (il 25 febbraio 2016) ad oggi, è trascorso appena meno di un anno. Come dire, nulla di più attuale.

«È molto sgradevole - affermava Panebianco - sentirsi dare dell'assassino, del guerrafondaio, di quello che specula sui morti ammazzati. Ed è patetico (e anche triste) sentire slogan e vedere cartelli con sopra scritto fuori i baroni della guerra dall'Università. Patetico, perché costoro nemmeno sospettano quanta muffa e quante ragnatele ci siano in quegli slogan». E poi: «Questi individui si sono permessi di mettere in discussione la mia integrità professionale (...), sono particolarmente fiero del fatto che mai mi è scappato un commento politico di fronte agli studenti (...). Se riescono a imporsi quelli che considerano l'altro un nemico anziché un avversario, allora la democrazia è agonizzante». Panebianco ricordava inoltre come l'articolo sulla Libia per il quale era stato attaccato «era una constatazione di fatto, basata sull'evidenza storica. Ma distinguere fra giudizi di fatto e giudizi di valore non è evidentemente una cosa alla portata di tutte le menti».

In un altro passaggio del suo intervento, Panebianco riflette sul fatto che «in Italia il '68 non fu un semplice anno: fu invece un decennio che si concluse solo nel 1978 con il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, quando la rivoluzione immaginaria e parolaia finì e arrivarono quelli che facevano sul serio e qualche cascame o residuo di quell'interminabile decennio è ancora tra noi».

Bologna docet.

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