Politica

Le profezie di Casaleggio e del guru di Salvini. E Gianni Letta suggerisce la linea dura al Cav

Il consigliere storico a Berlusconi: non accettare un ruolo subalterno, ritirati tu

Le profezie di Casaleggio e del guru di Salvini. E Gianni Letta suggerisce la linea dura al Cav

Da due settimane a questa parte Davide Casaleggio si è meritato il titolo di veggente per una parte importante dell'establishment italiano e internazionale. Venerdì 23 marzo, in uno di quei convegni a porte chiuse dal titolo emblematico, «L'economia reale e i nuovi scenari politici», che raccolgono il gotha della burocrazia italiana e i fiduciari dei fondi di investimento nazionali e internazionali, l'erede del Profeta scomparso, che fondò i 5 stelle insieme a Beppe Grillo, azzardò, dopo aver tormentato per l'intera serata il telefonino, una previsione sull'elezione del presidente del Senato, proprio mentre Silvio Berlusconi a Roma rilanciava la candidatura di Paolo Romani: «Domani mattina alle 10 a Palazzo Madama sarà eletta una donna di Forza Italia. Sicuro!». E, parola di veggente, così fu, nel nome di Maria Elisabetta Casellati. Quella previsione è stata più o meno la prova, se ce ne fosse stato bisogno, che la vera anima «governativa» del grillismo passa per la Casaleggio Associati; e che il vero interlocutore di Matteo Salvini non sia tanto il candidato premier, ma il figlio del Profeta.

La profezia di Davide Casaleggio, come racconta Keyser Söze su Panorama, in quell'occasione non si fermò lì. Mentre i vari partecipanti al convegno lo omaggiavano al tavolo durante la cena, in ossequio al costume estremamente radicato in Italia del climb on the bandwagon (salire sul carro del vincitore), il veggente parlò anche del parto travagliato del prossimo governo. «Ci vorrà del tempo - spiegò ai suoi interlocutori - ma alla fine il governo tra grillini e centrodestra penso che si farà. Sui temi programmatici gli ostacoli non sono insormontabili. Berlusconi? Beh, Forza Italia sarà presente solo con dei ministri d'area, non credo neppure con i sottosegretari. Chi farà il premier? O si trova insieme una personalità condivisa, o noi terremo sul tavolo della trattativa il nome di Di Maio».

Un ragionamento che rende chiara la strategia «pragmatica» dell'anima governativa del grillismo: la candidatura di Di Maio è una merce di scambio, secondo una regia ben studiata, per ottenere l'emarginazione del Cav. Ragionamenti, che, gira che ti rigira, riecheggiano, in una logica più positiva, sulla bocca di qualche esponente leghista, del primo cerchio salviniano, come Armando Siri, l'uomo della flat tax. «Qualcosa faremo - è la sua previsione - perché alla fine credo che a Berlusconi basterà mettere dei tecnici d'area, qualcuno che tenga conto dei suoi interessi. Sarà malleabile. E Salvini, di contro, non ha nessuna intenzione di tenerlo fuori. Finché c'è Berlusconi, il centrodestra non può esistere senza di lui. Matteo è troppo acuto per ripetere l'errore di Fini. Inoltre Matteo è uno che mantiene la parola data. Eppoi, diciamoci la verità, sarà malleabile anche Di Maio, lui il governo vuole farlo davvero. È già d'accordo. Deve solo convincere i suoi. Fare in modo che il network degli ortodossi, quello che mette insieme Fico e Travaglio, non dia troppo fastidio».

Quindi, per il think-tank salviniano la strada è tracciata. Non esistono alternative. «Il Pd? No - prosegue Siri nelle sue congetture - perché non possiamo lasciare i 5 stelle da soli all'opposizione. Abbiamo un elettorato contiguo e loro farebbero man bassa dei nostri voti se noi ci facessimo il governo con il Pd. Eppoi se i 5 stelle si alleeranno con noi, ci sarà una contaminazione, che potrebbe portarli alla deflagrazione. Siamo o no in una società liquida?! E alla fine l'ala governativa dei 5 stelle potrebbe diventare la nuova Dc e noi il polo moderno di una possibile alleanza. Ma questo è un futuro ancora tutto da scrivere».

Già, Siri corre troppo, ma per il prossimo futuro sembra parlare lo stesso linguaggio di Casaleggio. Un linguaggio che mette a dura prova la pazienza di Berlusconi. Almeno fino a ieri. La verità è che dentro Forza Italia esistono due scuole di pensiero. La prima, interpretata al meglio dall'avvocato Niccolò Ghedini, ritiene che per evitare il pur minimo rischio di tornare alle urne, convenga assecondare in tutto e per tutto la strategia di Salvini. L'altra, capitanata da Gianni Letta, è convinta che accettare un ruolo subalterno, di partito fantasma della maggioranza, sia letale. E ieri il consigliere principe è stato fin troppo esplicito, rispetto al suo temperamento, con il Cav. «Se devi accettare un ruolo del genere - gli ha spiegato - allora tanto vale che ti ritiri tu; invece, di farti cacciare da Salvini per conto di Di Maio, dando l'immagine di essere irrilevante sul programma e sui nomi del nuovo governo. Tu devi far capire a Salvini che se ti emargina, non è detto che quel 14% di elettorato, che alle ultime elezioni ha votato Forza Italia, alla fine vada con lui».

Ieri Berlusconi ha dato retta a Letta. Ha capito che a fare troppo il «concavo», si rischia la gobba. Ma fino a quando? Anche perché la dialettica pervade l'intero partito. «Noi di Forza Italia - si sfoga una delle pasionarie azzurre, Paola Pelino - non possiamo essere figli di un Dio minore». Discorso che riprende l'ex sindaco di Pietrasanta, Massimo Mallegni: «Il presidente - racconta - mi ha detto che lui una maggioranza con 5 stelle e Lega non la fa. Solo che dobbiamo essere duri sui territori. Non ci vogliono? Bene, allora noi guardiamo da un'altra parte. I leghisti volevano il sindaco di Pietrasanta e io gli ho detto di no e ho mandato i miei a parlare con i renziani. Ci vuole rispetto». Ma, poi, c'è anche un altro ex sindaco, quello di Pavia, Alessandro Cattaneo, che la pensa in modo diverso. «Stare all'opposizione - è la sua visione - di un governo 5 stelle-Lega è pericoloso, perché la gente ci accomunerebbe con il Pd, noi saremmo il vecchio contro il nuovo». Insomma, una situazione fluida che Maurizio Gasparri tratteggia con un'immagine ironica: «I grillini aborrono noi, come io aborro loro: c'è un aborro comune».

La verità è che la dialettica, in questa fase difficile, attraversa tutti i partiti. Dentro la Lega, al di là del cerchio stretto salviniano (che come ha spiegato ieri il leader al Quirinale punta a neutralizzare il Cav), c'è chi consiglia il capo, come Calderoli, di non legarsi mani e piedi all'ipotesi grillina, ma di dialogare anche col Pd. Più o meno come tra i grillini, c'è chi non vorrebbe avere nulla a che fare non solo con il Cav ma neppure con la Lega, mentre gli eletti meno militanti, quelli dell'uninominale, cominciano a scalpitare, sono stanchi di fare solo la parte degli spettatori. «A conti fatti - è la battuta che ha regalato ad un amico Gianmauro Dell'Olio, commercialista eletto senatore dai 5 stelle - dell'indennità da parlamentare mi restano in tasca, dopo i contributi al movimento, 3mila euro: 3mila euro per fare il peones!». E il Pd? Sta fermo, a guardare, magari meditando un ruolo di outsider, se l'ipotesi 5 stelle-Lega andasse in crisi. «Siamo fermi - sorride Lorenzo Guerini - ma non immobili». Tant'è che l'ex presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, l'azzurro Francesco Sisto, confida: «Dal Quirinale, una voce molto influente, mi dice che alla fine la crisi potrebbe virare verso un'ipotesi che coinvolga sia il centrodestra, sia il Pd. Magari con un premier che abbia un passato di presidente della Consulta come Ettore Gallo».

Sono gli avvitamenti della crisi, quelli che potrebbero mandare per aria le profezie del Nostradamus della politica italiana, il veggente Casaleggio.

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