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Profugo e (presunto) terrorista in carcere I magistrati litigano e il processo non si vede

È fuggito dalla Siria, fiancheggia il Califfo. E dopo un anno ancora nessuna udienza

Profugo e (presunto) terrorista in carcere I magistrati litigano e il processo non si vede

C'è un presunto terrorista dell'Isis in carcere, in Sicilia, e il Tribunale di Catania e la Corte d'appello litigano sui formalismi e i bizantinismi della procedura penale italiana. El Ghazzoui, 21 anni, finisce in manette l'11 dicembre 2015 dopo lo sbarco a Pozzallo. Viene dalla Siria, via Libia. Insieme alla famiglia, che ora si trova in Germania in attesa di ottenere asilo politico, viene identificato e interrogato dalla polizia etnea insospettita dal suo strano atteggiamento. Dopo una decina di giorni, El Ghazzoui finisce in galera con l'accusa di terrorismo internazionale.

Il ragazzo ha con sé due cellulari e documenti ritenuti di interesse investigativo, tra cui un presunto passaporto dell'Isis che, secondo alcuni, sarebbe però un falso. In uno degli smartphone di ultimissima generazione, gli inquirenti trovano immagini di lui accanto a corpi mutilati e a simboli che rimandano alla liturgia dell'orrore di Al Baghdadi. Bandiere americane in fiamme, teste sgozzate, armi ed esplosivo. El Ghazzoui ammette di far parte di una cellula dei «Martiri di Dar'a», una città del sud est della Siria al confine con la Giordania, il Libano e Israele.

Per la Procura non ci sono dubbi: è un fiancheggiatore del Califfato. Il fermo del pm eseguito dalla squadra mobile di Catania diventa un'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip. L'avvocato impugna il provvedimento ma il Riesame e la Cassazione confermano l'impianto accusatorio.

In casi del genere, la scelta dell'ufficio del pubblico ministero è scontata: si va al giudizio immediato. Si salta cioè l'udienza preliminare data l'evidenza degli indizi di colpevolezza. Lo stesso El Ghazzoui non si oppone, come pure potrebbe. O meglio: non si oppone in un primo momento. Il processo non inizia infatti perché il difensore fa ricorso alla Corte d'appello che, ritenendo «abnorme» l'ordinanza di giudizio immediato, invia di nuovo gli atti al giudice dell'udienza preliminare. Nel ping pong tra gli uffici giudiziari trascorrono i mesi, nel frattempo. E la clessidra dei termini di custodia cautelare prosegue a girare sempre più veloce.

Si deve ripartire daccapo perché il 21enne, non parlando la nostra lingua, non ha ben compreso nonostante l'iniziale parere positivo al giudizio immediato la possibilità di scegliere riti alternativi. Infatti, opta per l'abbreviato che consente all'imputato uno sconto di un terzo della pena (il massimo è quindici anni). Il procedimento si sta ora trascinando da settimane davanti al gup Giancarlo Cascino tra rinvii e difetti di notifica.

Secondo il pm, i «Martiri di Dar'a» sono un gruppo affiliato alla Bandiera Nera. Tant'è che, sempre nella memoria dei cellulari, El Ghazzaoui custodiva anche alcuni messaggi che inneggiavano ad Allah. Secondo il legale, si tratta invece di un gruppo che nulla c'entra con lo Stato Islamico. Farebbe parte della rete di resistenza anti Assad. In ogni caso, si tratta di miliziani abituati alle tecniche di guerriglia.

La scorsa udienza è stata nuovamente aggiornata al 3 febbraio prossimo per un vizio di procedura. L'avvocato del siriano ha chiesto la convocazione in aula di un esperto di geopolitica mediorientale per chiedergli la natura della formazione para-militare dei «Martiri di Dar'a».

Non sarà affatto facile trovarlo.

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