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Pronti i tre nomi per il Quirinale

Mentre i tanti papabili si fanno intervistare, si bruciano o manovrano nell'ombra, a Palazzo Chigi sta maturando un'altra strategia, quella di "puntare su una rosa nostra"

Pronti i tre nomi per il Quirinale

Roma - Non bastavano la crisi, il crollo della Borsa e la fronda nel Pd, ci mancava solo il giallo del decreto fiscale a rianimare gli oppositori, a destra e a sinistra, del Patto del Nazareno. La partita per il Colle ora si è complicata. Matteo Renzi, che concorda con Pier Carlo Padoan la nuova versione del decreto che verrà portata in Consiglio dei ministri il 20 febbraio, continua però a mostrarsi fiducioso. Oggi comincerà il mese più caldo per il suo governo e per la legislatura, quello in cui il varo della riforma elettorale si incrocia con la nomina del successore di Napolitano, e si vedrà subito se l'ottimismo è giustificato. In mattinata il premier vedrà i gruppi parlamentari del Pd, già in discreta ebollizione, per mettere a punto la linea sull'Italicum e sul Colle, e nel pomeriggio il Senato inizierà a discutere la legge elettorale. Renzi riuscirà a portarla a casa entro metà febbraio? «Due terzi dei parlamentari saranno eletti con le preferenze, un terzo con i collegi», annuncia in serata. Dovrà fare altre concessioni alla minoranza?

Per il Colle invece Renzi procede a fari spenti: «Politico o tecnico? Uomo e donna? Il toto-Quirinale è un giochetto per addetti ai lavori, io dico solo che sarà un'ottima scelta. Intanto ringraziamo Giorgio Napolitano». E mentre i tanti papabili si fanno intervistare, si bruciano o manovrano nell'ombra, a Palazzo Chigi sta maturando un'altra strategia, quella, come spiegano a Montecitorio, di «puntare su una rosa nostra». Cioè, prima di cercare un'intesa con il Cavaliere, il presidente del Consiglio dovrebbe trovarla all'interno del suo partito per non restare poi spiazzato ed esposto ai franchi tiratori. Più che una rosa una rosetta, tre nomi appena ma sicuri, «di alto profilo» e ovviamente digeribili senza troppi mal di pancia da Forza Italia. Anche personaggi esterni, senza la tessera Pd.

Fino all'altro giorno il favorito era Padoan, che infatti negli ultimi tempi aveva molto ridotto le sue uscite pubbliche: aveva abbandonato la sua ridotta solo per partecipare, fatto singolare per un non iscritto, a un'assemblea dei parlamentari dem. Adesso però, stando al tam tam del Transatlantico, il caso del cosiddetto «salva Silvio», al di là di come verrà risolto, lo potrebbe indebolire.

Bruciato pure lui? Si vedrà. Nel frattempo i molti aspiranti si danno da fare. Mario Monti, con una pagina di intervista alla Stampa, ha rispolverato il suo appeal antiberlusconiano, «senza di me ci sarebbe lui al Quirinale», e ha lanciato Prodi e Draghi, che però si è da tempo tirato fuori da solo. Massimo D'Alema, che sponsorizza Paola Severino, in realtà starebbe lavorando per Giuliano Amato. Romano Prodi invece invita i suoi amici a non fare più il suo nome, «tanto non vengo eletto». Il Professore però spera ancora, infatti c'è chi ipotizza convergenze di ex bersaniani e grillini su di lui.

Poi c'è Pietro Grasso. Al momento il presidente del Senato è l'unico sicuro di diventare capo dello Stato, almeno per due o tre settimane dopo le dimissioni di Napolitano. Lui, che conta di restarci di più, da Palermo parla con toni presidenziali. «La politica deve sradicare le infiltrazioni clientelari prima dei magistrati.

E la riforma della giustizia civile è indispensabile per eliminare gli interessi mafiosi».

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