Cronache

Le prostitute alla Merlin: "Cara senatrice, ti scrivo..."

I drammatici messaggi delle «signorine dei bordelli» alla deputata socialista che nel '58 abolì le case chiuse

Le prostitute alla Merlin: "Cara senatrice, ti scrivo..."

«Signora Deputatessa Merlin, io ò saputo dalle mie compagne della legge che fà per noi prostitute. Io non me ne intendo: sono una povera donna che faceva la serva e vorrei tornarci a fare la serva o la contadina, non questo mestiere che mi fà schifo. M'aiuti Signora Deputatrice io voglio salvare mio figlio».

Quando l'anno scorso l'ottimo giornalista Giorgio Dell'Arti lesse durante un programma televisivo questa lettera, dovette fermarsi un attimo: si era commosso. Una reazione comprensibile, perché la raccolta di Lettere dalle case chiuse curata dalla Fondazione Anna Kuliscioff è un libro-documento che non può lasciare indifferenti.

Dell'Arti nel 2018 - a 60 anni da quello storico 20 febbraio 1958 quando la Camera approvò la legge Merlin che abolì le case chiuse - aveva deciso di pubblicare (ogni giorno, dal 20 febbraio fino all'8 marzo, Festa della donna) sulla sua seguitissima newsletter Anteprima un'epistola scelta tra quelle che le «signorine dei bordelli» scrissero alla senatrice Lina Merlin ai tempi in cui la deputata socialista combatteva la sua battaglia per l'abolizione dei «casini di Stato».

Messaggi pieni di vergogna, rabbia e disperazione che tornano oggi d'attualità alla luce del «dibattito politico» sull'ipotesi di «regolamentare la prostituzione» attraverso la «riapertura» di «strutture» simili a quelle cancellate dalla legge Merlin.

Premessa d'obbligo: il paragone tra l'«epopea» delle case di tolleranza ante-1958 e l'odierno mercato del sesso a pagamento è improponibile. Oggi le lucciole si chiamano escort, si autogestiscono sui portali «specializzati» e per svolgere la loro attività non hanno bisogno di protettori. Ciò non vuol dire che il business della prostituzione si sia totalmente affrancato da un contesto di sfruttamento criminale: basti pensare che tra i racket più prolifici gestiti dalle mafie continua ad esserci quello legato alla «schiavitù» delle donne costrette a vendere il proprio corpo; affari sporchi cresciuti di pari passo con l'aumento dei fenomeni migratori nelle loro forme più delinquenziali.

«Dal 1958 tutti i governi italiani, i parlamentari e le forze politiche, hanno sempre assunto la linea della tacita tolleranza dello sfruttamento della prostituzione - scrive nell'introduzione del libro Lettere dalle case chiuse, il presidente della Fondazione Anna Kuliscioff, Walter Galbusera -. Si può affermare che l'eredità del lavoro di Lina Merlin sia stata tradita. Le barriere burocratiche che imprigionavano le abitanti delle case chiuse sono state abbattute, ma la lotta allo sfruttamento della prostituzione oggettivamente segna il passo. Naturalmente non stiamo parlando di chi sceglie liberamente di prostituirsi». Come, ad esempio, nel caso della impegnata Efe Bal che da anni rivendica l'introduzione di un «albo professionale» per «operatori del sesso a pagamento» con «obbligo di fattura».

Prima il piacere, poi il dovere (fiscale).

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