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Psicodramma Pd: riesce a perdere anche alle primarie

I renziani escono sconfitti dalle consultazioni della coalizione

Psicodramma Pd: riesce a perdere anche alle primarie

Roma - Sembrano lontani i tempi di Ignazio Marino, l'ultimo a vincere un'elezione a Roma col marchio Pd. La cacciata del sindaco marziano ha dato inizio anche al tracollo dem. Una sfilza di sconfitte in rapida successione. Prima la batosta di Giachetti contro la Raggi, risultato che ha consegnato la Capitale ai Cinque stelle. Poi l'esclusione ad Ostia, dove il candidato dem Athos De Luca non è riuscito ad arrivare al ballottaggio. In mezzo c'è da annoverare il risultato di Nicola Zingaretti in Regione, che ha consegnato al governatore una vittoria monca non in grado di garantirgli la maggioranza. E infatti molti esponenti della lista Zingaretti hanno sostenuto Giovanni Caudo nella battaglia del III Municipio, come Massimiliano Smeriglio, vicepresidente del Consiglio del Lazio. E qui veniamo alla vicenda tutta romana delle recenti primarie nel III e nell'VIII Municipio, che come ogni competizione minore rivela più di altre lo stato di salute politica di un partito. I candidati alternativi Caudo e Amedeo Ciaccheri hanno battuto i designati Paola Ilari ed Enzo Foschi. A Montesacro, quindi, sarà Caudo, assessore all'Urbanistica di Ignazio Marino, a sfidare per la presidenza del municipio Roberta Capoccioni (M5s) mentre alla Garbatella, storicamente di sinistra, sarà Ciaccheri (e non il «pezzo forte» Foschi, schierato dal Pd) a sfidare l'avversario Lupardini come minisindaco.

Il Partito democratico a Roma continua a perdere inesorabilmente colpi (e voti e numeri e consenso) ma la parte curiosa della vicenda è che i Dem non si fanno fuggire occasione, compresa quest'ultima, per esacerbare le divisioni e i contrasti interni fra le correnti. Perché mentre la Ilari, candidata ufficiale, era appoggiata dai renzianissimi (al vertice del partito dopo l'elezione di Andrea Casu) la candidatura di Caudo nasce da un appello di «Laboratorio per Roma», con l'endorsement di Nicola Zingaretti e di Liberi e uguali. Indicativa anche la vittoria di Ciaccheri su Foschi, che pure aveva ricevuto la benedizione ufficiale di Maurizio Martina, a quanto pare non sufficiente per convincere gli elettori a convergere sul candidato «ufficiale».

È evidente che la sconfitta in casa del Pd non si limiti alle faccende romane. Ben al di sotto della «soglia Bersani» del 25%, dimenticati gli esordi gloriosi di Renzi segretario con oltre il 40% alle europee del 2014, la balcanizzazione ha portato il Partito democratico ai suoi minimi storici, senza per altro rendere chiari i vinti o i vincitori.

L'unico grande sconfitto sembra l'elettore Pd che, se la tentazione dei Cinque stelle al governo andasse a segno, non potranno godersi in pace neanche un modesto, e coerente, ruolo di opposizione.

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