Cronache

"Pugni e calci contro Cucchi" Confessione choc del militare

Uno dei carabinieri imputati accusa i due colleghi: «Colpito anche a terra». Nuova inchiesta aperta dai pm

"Pugni e calci contro Cucchi" Confessione choc del militare

Il colpo di scena che dopo nove anni nessuno si aspettava arriva nel bel mezzo di un'udienza del settimo processo per la morte di Stefano Cucchi: sarebbero stati i carabinieri a pestare in caserma il giovane geometra subito dopo l'arresto per droga. Strattonato, sbattuto a terra e preso a calci in testa da due dei cinque militari dell'Arma oggi imputati per omicidio preterintenzionale. L'accusa arriva da un loro collega, anche lui imputato per falso e calunnia. Per la prima volta i sospetti della Procura - più che altro delle certezze per le quali continuare a battersi come una leonessa per l'inarrestabile Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano - prendono forma nel corso del dibattimento per bocca di un militare dell'Arma, Francesco Tedesco, che era presente in quella stanza della compagnia Casilina, a Roma, la notte del 15 ottobre del 2009.

È il pm Giovanni Musarò a svelare ai giudici della prima Corte d'Assise, che stanno processando i cinque carabinieri nel secondo dibattimento per la morte di Cucchi, che tra luglio e settembre scorso Tedesco ha messo a verbale i dettagli del pestaggio che avrebbe poi portato alla morte di Cucchi, il 22 ottobre 2009, presso l'ospedale Pertini dove era stato ricoverato dopo l'arresto con le ossa rotte e pieno di lividi. In tutti questi anni, tanti hanno cercato di coprire quello che era accaduto, anche falsificando e facendo sparire documenti, come la nota di servizio scritta da Tedesco su quanto aveva visto, poi misteriosamente scomparsa. Sulle presunte bugie dette da alcuni esponenti dell'Arma, anche davanti ai giudici, e la possibile catena di pressioni che portò a quelle falsità è stata aperta una nuova inchiesta e altri militari sono stati indagati. Ieri, per la prima volta, un po' di luce. «Il muro è stato abbattuto. Ci chieda scusa chi in tutti questi anni ha affermato che Stefano è morto di suo, che era caduto», si affretta a scrivere su Facebook Ilaria Cucchi.

Sarà il processo, naturalmente, a stabilire se quanto raccontato da Tedesco è la verità. E tutta la verità. Il pestaggio sarebbe avvenuto al culmine di una lite tra il geometra e il carabiniere Alessio Di Bernardo, spalleggiato dal collega Raffaele D'Alessandro. «Cominciarono ad insultarsi - racconta il militare - Di Bernardo si voltò e colpì Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Allora D'Alessandro diede un forte calcio a Cucchi con la punta del piede all'altezza dell'ano. Nel frattempo io mi ero alzato e avevo detto basta, finitela, che cazzo fate. Ma Di Bernardo proseguì nell'azione, spingendo con violenza Cucchi e provocandone una caduta in terra sul bacino. Anche la successiva botta alla testa fu violenta, ricordo di aver sentito il rumore. Nel frattempo mi alzai, spinsi Di Bernardo, ma prima che potessi intervenire D'Alessandro colpì con un calcio in faccia Cucchi mentre era sdraiato a terra». Dopo Tedesco si sarebbe avvicinato a Stefano per aiutarlo. «Gli chiesi come stesse - si legge nel verbale - e lui mi rispose Sto bene, io sono un pugile, ma si vedeva che era stordito».

Ci sono voluti nove anni, però, perché tutto questo emergesse. Nove anni in cui sono stati processati, rischiando di essere condannati, tre agenti della penitenziaria, sei medici e tre infermieri dell'ospedale. Nessuno ha parlato. Eppure Tedesco non era l'unico a sapere, avrebbe informato dell'accaduto il maresciallo Roberto Mandolini, il quale non lo avrebbe minacciato esplicitamente quando per la prima volta doveva essere sentito dal pm, ma gli fece capire che non avrebbe dovuto dire la verità: «Gli devi dire che stava bene». E Tedesco così fece: «Ho taciuto per timore di ritorsioni». Chi prima di lui aveva provato a raccontare quello che sapeva, come l'appuntato Riccardo Casamassima, grazie al quale il caso è stato riaperto, è stato emarginato, demansionato e trasferito.

Ora si prende la sua rivincita: «Sono degno di indossare la divisa».

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