Referendum indipendenza in Catalogna

Puigdemont rischia l'arresto e cerca asilo politico

Voci su un'offerta (smentita) da parte del Belgio. Oggi il presidente darà l'addio al suo ufficio

Puigdemont rischia l'arresto e cerca asilo politico

Girona - Nella sua roccaforte ottanta chilometri a Nord di Barcellona, in quel fortino culla dell'indipendentismo, Carles Puigdemont, l'ex president catalano destituito, sabato ha passeggiato per i vicoli gotici stretti e ombrosi. Nessuna scorta, soltanto tanti amici, qui dal 2007 per nove anni fino alla sua elezione a governatore, è stato il sindaco molto amato, e ora è cittadino onorario. Un eroe, un ribelle. Come quel Quinto Sertorio, generale romano, in comando proprio a Girona che già nel 77 a.C., dava problemi a Pompeo per atti di ribellione contro Roma e l'Impero romano.

La senyera, la bandiera catalana tappezza palazzi e balconi e da, sempre, in questo comune si bruciano molti vessilli borbonici ogni volta che sale la tensione con Madrid. Puigdemont, domenica pomeriggio si è affacciato dal palazzo del Comune di Girona stringendo le bandiere catalane e dell'Unione europea, quell'unione invocata, ma che non gli hai mai dato tanta attenzione e credibilità. Acclamatissimo, è sceso in strada per godersi il suo bagno di folla. Forse, l'ultimo, sapendo che la scure della magistratura sta per abbattersi sulla sua condotta politica e, probabilmente, già oggi il Tribunale supremo di Spagna, gli notificherà l'avviso di garanzia contestandogli i reati di ribellione e sedizione. Il pm di Barcellona potrebbe richiederne l'arresto: rischia una condanna da 10 a 30 anni, oltre all'interdizione da ogni incarico pubblico. Il suo amico ed ex president Artur Mas, l'eminenza grigia del suo destituito esecutivo, nel 2017 è stato condannato a sei anni, con la condizionale, e a cinque anni d'interdizione, con una multa di 5 milioni. E Mas aveva soltanto organizzato il referendum farsa del 2014, dichiarandolo poi «semplice consultazione popolare» per salvarsi la condotta. Puigdemont è andato ben oltre. E potrebbero essere imminenti le manette e la fine della sua carriera politica iniziata con le Olimpiadi di Barcellona del 1992.

Domenica Theo Francke, ministro belga per l'Immigrazione, ha offerto la possibilità al deposto Puigdemont di chiedere al Belgio l'asilo politico in caso di ordine d'arresto. Francke ha precisato che nessuna domanda è stata presentata al suo Ministero, ma che «la vicenda si evolve con molta rapidità», lasciando credere che l'ex president non dovrà attendere anni l'asilo, come, invece, accade a un comune immigrato subsahariano in fuga dalla guerra.

Lui sorride, stringe mani, vive come se ancora fosse governatore della Catalogna, la sua colonia oppressa dall'imperialismo di Madrid. Oggi, si presenterà nel suo ufficio di presidente al Palau di Barcellona, non con una scatola per rimuovere i suoi effetti personali, ma per occupare la poltrona in attesa degli eventi, in attesa che un agente lo accompagni alla porta. «Resistere in modo pacifico e democratico», ha ripetuto fino all'applicazione dell'art. 155 che ha cancellato, legalmente, il suo esecutivo.

A Barcellona, domenica, a difendere il fortino indipendentista dall'assedio degli apaches unionisti riversati rumorosamente per le strade, è restato il suo vice, Oriol Junqueras. L'imponente numero due, ieri, ha dettato ai media una dichiarazione gravida di misteri e domande.

«Nelle prossime ore saremo costretti a prendere decisioni che pochi comprenderanno».

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