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Pure l'editore del "Foglio" prova a riposizionarsi: "Il governo merita fiducia"

Chi ha interessi in gioco non vuole sfidare chi comanda. Ma così l'informazione è a rischio

Pure l'editore del "Foglio" prova a riposizionarsi: "Il governo merita fiducia"

Roma - C'è molto distaccato british humour fin dal titolo con cui, in prima pagina sul Foglio, si presenta la lunga lettera di rimbrotto dell'editore in persona: «La voce del padrone».

A Valter Mainetti, imprenditore e manager con variegati interessi e un core business nell'immobiliare, non piace «il forcing della maggior parte dei media, soprattutto esteri, contro il governo Conte», che a suo parere non va criticato ma appoggiato perché promette una gran «rivoluzione» a beneficio del Paese. E siccome Mainetti, oltre che un importante businessman con la evidente necessità di buone relazioni col governo di turno, è anche per l'appunto il proprietario del Foglio, la tirata d'orecchi ai media che si permettono di criticare l'esecutivo Conte può suonare come un avvertimento per il suo giornale. La risposta del direttore, Claudio Cerasa, è leggera nei toni ma ferma nella sostanza: l'editore ha il diritto di pensare che Conte sia uno statista incompreso, e che il suo governo farà grandi cose, e il Foglio ha quello di continuare a criticarlo, mantenendo «la nostra identità corsara, liberale, eccentrica, sempre aperta al pluralismo degli interventi e delle opinioni».

Può trattarsi di un semplice quanto civile gioco delle parti: l'editore, per sue ragioni di public relation, aveva bisogno di prendere le distanze dalla linea di effervescente opposizione del giornale. Ma certo il contesto in cui la vicenda odierna del Foglio si inserisce non è dei migliori: i nuovi potenti hanno dato ampia dimostrazione, negli anni, di una forte allergia alle critiche e alla libertà di stampa. Fu proprio Grillo ad inaugurare una sorta di gogna pubblica (con annesso linciaggio via social) per i giornalisti rei di criticarlo. E Casaleggio non ebbe remore a cacciare da un evento pubblico Jacopo Jacoboni, firma della Stampa che troppo aveva indagato sul suo business. Ora che sono al potere, difficilmente il loro atteggiamento migliorerà. Del resto, la stagione del governo Conte è iniziata proprio con il siluramento di un direttore di giornale, Alessandro Barbano, che aveva fatto del suo Mattino una palestra intellettuale per le migliori menti liberali e garantiste del Paese. Il 2 giugno scorso è stato fatto fuori dall'editore ed immobiliarista Caltagirone: un altro imprenditore che, per comprensibili ragioni, non vuol certo entrare in rotta di collisione con chi comanda. In tv, una trasmissione de La7 (rete di riferimento per il grillismo italico) ha iniziato timidamente a rialzare la testa: le conduttrici di Omnibus hanno contestato il «Codice Casalino», fin qui supinamente accettato da tutti e che prevede spazi protetti, niente contraddittori e domande addomesticate per i Cinque Stelle. Ma difficilmente l'esempio sarà seguito.

Tanto più che Lega e grillini si preparano a blindare la Rai a loro favore: niente posti in Cda per il Pd, niente spazi o reti garantite all'opposizione, rigido controllo sull'informazione nazionale e locale.

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