Cronache

Pure il Nobel è anti-Trump Trionfano gli antinuclearisti

Oslo premia l'Ican, la campagna per l'abolizione delle armi atomiche. Stoccata a Washington e a Kim

Pure il Nobel è anti-Trump Trionfano gli antinuclearisti

Un Nobel contro Kim Jong-un e il suo puerile machismo atomico. Un Nobel anche un po' contro Donald Trump e la sua voglia di mostrare i muscoli al tiranno coreano e di rispondere al terrore da operetta del despota di Pyongyang. Paradossale: il presidente degli States è passato in poche ore dall'essere indicato come possibile vincitore del premio (lo sosteneva qualche ora prima dell'assegnazione il Prio, il Peace research institute di Oslo che ogni anno stila il borsino dei favoriti) a essere «vittima» dello stesso. Un bel contropiede, non c'è che dire.

Bizzarro destino del più «politico» dei premi, quello che viene rilasciato ogni anno da un comitato norvegese (tutti gli altri Nobel - letteratura, fisica, medicina, chimica ed economia - sono assegnati in Svezia, a Stoccolma) e che suscita sempre le maggiori perplessità. D'accordo, anche quello per la letteratura spacca il mondo (da anni ci sono gli orfani del Nobel a Philip Roth) ma in quel caso si tratta di derby tra tifosi di autori differenti, mentre quando si parla di pace si fa una scelta di campo dai significati assai più importanti, destinata a far storcere miliardi di bocche. E alle volte il comitato fa anche gaffe storiche, magari con il senno di poi. Prendete il Nobel assegnato nel 1991 a Aung San Suu Kyi, allora santificata come «pasionaria» del regime dittatoriale birmano. Diventata a sua volta leader del Myanmar, la signora ha pur essa esibito un caratterino niente male, prendendo a perseguitare la minoranza musulmana dei Rohingya come un tiranno qualsiasi. E qualcuno si è messo a raccoglier firme per revocarle il premio come fosse un rigore tolto dalla Var.

È quindi solo apparentemente unificante la scelta di premiare quest'anno l'Ican, la campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari che riunisce oltre 450 gruppi della società civile con migliaia di aderenti in 101 paesi del mondo, tra cui anche l'Italia, che collabora con otto organizzazioni tra le quali Senzatomica, Rete Disarmo e Archivio Disarmo. L'Ican è nata dieci anni fa con l'obiettivo di promuovere un trattato per l'abolizione delle armi nucleari; e non è un caso che il Nobel arriva pochi mesi dopo il raggiungimento di questo obiettivo, con l'approvazione avvenuta lo scorso 7 luglio da parte dell'assemblea generale dell'Onu di questo accordo. Tutto bene? tutti amici? Manco per niente. Il trattato non è stato firmato dai Paesi appartenenti alla Nato tra cui l'Italia né, naturalmente, da quelli che posseggono un arsenale nucleare. Hanno impugnato la penna sono i rappresentanti di 53 non proprio di prima linea (tra i più importanti Brasile, Sudafrica e Austria) e di questi solo tre attualmente lo hanno ratificato: Guyana, Tailandia e Vaticano. Quindi un classico esempio di quanto mare ci sia tra il dire e il fare, specie quando sui pulsanti rossi che fanno partire i missili ci sono le mani di personaggini pettinati in modo piuttosto discutibile e alquanto irritabili.

L'Ican, che ha uno staff di quattro persone tutte sotto i 35 anni (l'età media dei premi Nobel è di 61 anni), non si limita a lavorare per la non proliferazione delle armi ma si propone l'eliminazione degli strumenti più potenti e dannosi che esistano. «È accettabile uccidere centinaia di migliaia di persone o no? Se non lo è, allora le armi nucleari devono essere messe al bando», sentenzia con logica elementare Beatrice Fihn, svedese, 34 anni, direttore esecutivo dell'Ican.

La quale Fihn, peraltro, è la prima a esser caduta dalle nuvole quando le hanno comunicato la notiziola. «Siamo onorati ma pensavo fosse uno scherzo telefonico. È stato solo quando ho visto effettivamente la diretta che ho capito che era vero», ha detto ai giornalisti radunati a Ginevra.

Un Nobel cambia la vita, ma raramente cambia la storia.

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