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Putin: "A Erdogan non parlo finché non mi chiede scusa"

Clima incandescente tra Mosca e Ankara dopo l'abbattimento dell'aereo russo. Il Sultano avverte: "Non scherzate con il fuoco"

Putin: "A Erdogan non parlo finché non mi chiede scusa"

Un braccio di ferro i cui esiti possono essere imprevedibili. Se un conflitto, per ora, è stato escluso dal Cremlino, la guerra verbale tra il presidente russo Vladimir Putin e quello turco Recep Tayyip Erdogan invece cresce di tono. L'abbattimento del bombardiere Su-24 è ancora al centro dei botta e risposta tra Mosca e Ankara e Putin ha affermato che non parlerà con Erdogan finché non riceverà le scuse formali. «Constatiamo che la Turchia non intende semplicemente scusarsi per l'incidente aereo», ha detto il portavoce del Cremlino Yuri Ushakov. Il presidente turco ha inviato una richiesta formale di colloquio con il leader russo, durante la conferenza sul clima del 30 novembre a Parigi, alla quale non c'è stata ancora risposta. E il clima si fa più incandescente di ora in ora. Ieri il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha annunciato che sarà ripristinato l'obbligo di visto fra i due Paesi. Le minacce in arrivo dalla Turchia, ha detto Lavrov, «non sono artificiali ma, al contrario, decisamente reali». Mosca «si sta interrogando sulle reali intenzioni di Ankara, sul suo vero interesse nell'eliminare il terrorismo, in particolare in Siria», ha sottolineato.

La rappresaglia sui visti mette a rischio il flusso dei turisti russi, che per i turchi vale quasi 4 miliardi all'anno, ma le misure non si fermerebbero qui. Il ministro delle Costruzioni di Mosca, Mikhail Men, ha paventato l'uscita delle aziende turche dal mercato edilizio sostenendo che le società russe «hanno le stesse competenze e non subiremo alcuna perdita». Nel mirino poi ci sarebbero il gasdotto Turkish Stream e la centrale nucleare di Akkuiu, ma anche restrizioni sulla cooperazione finanziaria, sui dazi doganali, sulle importazioni di generi alimentari. Se ciò avvenisse, sarebbe un colpo durissimo per l'economia di Ankara che, non avendo aderito alle sanzioni contro Mosca per la crisi ucraina, ne ha approfittato per sostituire le imprese occidentali. «Avvisiamo cordialmente la Russia di non scherzare con il fuoco», ha detto ieri Erdogan, che non sembra intenzionato ad allentare la tensione. Il presidente turco ha infatti accusato Putin di sostenere Assad, che ha causato 380mila morti, e «di colpire gruppi di opposizione, che hanno una legittimazione internazionale, con la scusa di combattere l'Isis». Chi sono i gruppi a cui si riferisce? Sicuramente i turcomanni, definiti «i nostri fratelli in Siria» da Erdogan, cioè quelli che hanno trucidato il pilota russo mentre atterrava col paracadute. Ma i fratelli sarebbero anche la carta che Ankara vorrebbe giocare per costituire la sua 82ma provincia nel nord della Siria.

Ci sono anche altre organizzazioni sostenute dai turchi, la stragrande maggioranza delle quali ha giurato fedeltà allo Stato islamico.L'abbattimento del jet russo resta ancora da chiarire. Ieri il capo di stato maggiore dell'aeronautica russa ha detto che il caccia F-16 turco che ha colpito il Su-24 si è inoltrato in territorio siriano per circa 40 secondi, mentre il velivolo russo non ha violato lo spazio aereo turco. Ma, anche ammesso che fosse entrato in Turchia, il passaggio sarebbe durato una manciata di secondi: troppo pochi per non sospettare che l'intercettazione e l'abbattimento non siano stati casuali. Insomma, sembra che Erdogan sia a caccia di un casus belli per i suoi ambigui interessi.

Ed essendo membro della Nato, vorrebbe trascinare gli alleati nel conflitto, garantendosi protezione ma soprattutto carta bianca in Siria.

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