Golpe in Turchia

"Qualcosa non torna. La repressione sarà dura e avremo meno diritti"

I dubbi del giornalista arrestato per le sue denunce: "Sospetti tempi e modi dell'attacco"

"Qualcosa non torna. La repressione sarà dura e avremo meno diritti"

Non era in Turchia, Can Dundar, mentre i militari tentavano il golpe. Ma dalla località dove si trova in vacanza ha seguito, in contatto con amici e colleghi giornalisti ad Ankara e nel resto del Paese, l'evolversi della situazione. Quando è stato chiaro che il tentativo di colpo di stato era rapidamente fallito, in lui si è rafforzata la sua prima impressione.

«Strano questo golpe - spiega al telefono -, strano per le sue modalità e particolari importanti. Innanzitutto, si è scelto un momento in cui Erdogan era fuori dalla capitale, a Marmish, e nessuno ha cercato di neutralizzarlo come si fa sempre in questi casi. Anche contro i ministri sembra che i militari non abbiano tentato niente. Il presidente e il governo così hanno potuto organizzare la controffensiva, far scendere la gente nelle strade e capovolgere la situazione. Ora il potere di Erdogan si è rafforzato, la repressione sarà durissima e i diritti della popolazione, a cominciare dai media, ancor più ristretti di prima».

Che cosa è cambiato dopo la strage del 28 giugno?

«Temo che nell'attentato all'aeroporto di Istanbul si siano rivolte contro la Turchia le stesse armi che Erdogan ha fatto passare attraverso i nostri confini perché arrivassero nelle mani dell'Isis. È il risultato di una politica sbagliata. Prima Erdogan ha accolto i jihadisti da noi e gli ha consentito di arrivare in Siria per combattere per il Califfato, poi la pressione della comunità internazionale e soprattutto degli Stati Uniti lo ha spinto a concedere le basi turche agli aerei che vanno a bombardarli. Il governo ha prima sostenuto gli islamisti e adesso sta pagando per aver cambiato posizione».

Per aver scritto del traffico di quelle armi verso la Siria lei a novembre è finito in prigione, con il suo redattore Gul, per 3 mesi e a maggio è stato condannato a 5 anni e 10 mesi, per rivelazione di segreto di Stato.

«Faccio questo mestiere da 35 anni ma non è mai stato così difficile. Oggi la Turchia è la più grande prigione di giornalisti, ce ne sono 35 dietro le sbarre in questo momento. A loro ho dedicato il Premio internazionale Ischia di giornalismo per i diritti umani che ho ritirato due settimane fa».

Le stragi si moltiplicano: Dacca, Nizza e pure le minacce continuano...

«L'Isis è un pericolo per tutto il mondo e ha già colpito tante capitali europee. La Turchia, però, è in una posizione particolare perché confina con le terre del cosiddetto Califfato. Ed è un Paese musulmano, in cui si vive il rischio che qualcuno veda nell'Isis un emblema dell'Islam, cosa che non è. Eppure questo Paese potrebbe essere l'esempio di un grande stato musulmano moderato, dove convivono pacificamente diverse fedi».

Lei ha appena fatto un tour europeo, da Londra a Bruxelles all'Italia: perché?

«In Europa si fa l'equazione tra Turchia di oggi ed Erdogan, ma c'è un'altra Turchia ben diversa, occidentale, libera e moderna, che crede nella democrazia come nella parità di genere. L'Europa dovrebbe sostenere questa Turchia e non Erdogan, che non rispetta democrazia e diritti umani».

Si riferisce all'accordo sui profughi e ai fondi stanziati?

«Quello è stato un accordo sporco. La Turchia ha avuto il permesso di liberalizzare i visti, senza dare in cambio nessuna garanzia all'Europa che Erdogan non lasciasse andare, come in parte ha già fatto, i profughi verso gli altri Paesi. Quando ho chiesto ai responsabili Ue se avessero un piano B mi hanno risposto semplicemente: no».

Ora il governo riavvia i rapporti con Russia e Israele.

«Erdogan deve mostrare all'Europa di avere più alternative e cerca altri partner. Il crollo del turismo russo ha provocato molti problemi economici ed è stato necessario superare l'impasse con Mosca».

È ancora attuale l'idea di un ingresso della Turchia nell'Ue?

«La verità è che siamo sull'uscio dell'Europa dal 1959. Molte riforme sono state fatte proprio in questa prospettiva di integrazione. Paradossalmente, adesso rischieremmo di entrare in una famiglia che, dopo la Brexit, non esiste più. Ma l'isolamento sarebbe ancor più pericoloso».

Mentre era in prigione scrisse una lettera ai leader europei riuniti a Bruxelles: che cosa chiedeva?

Ho scritto a mano 28 lettere, una per ciascun leader per dire che i diritti umani in Turchia dovevano essere difesi. Poi ho atteso davanti alla tv, per sapere se c'erano reazioni. Solo il vostro premier Renzi ha dichiarato di aver ricevuto la lettera e di volerne parlare con gli altri. Ma non è successo niente, anzi tutti si sono congratulati con Erdogan per l'accordo e lui ha avuto mano libera per la repressione. Vorrei invece che i leader europei facessero qualcosa».

Qual è il suo messaggio ai colleghi giornalisti europei?

«Raccolgano il nostro testimone e scrivano quello che a noi è vietato. Indaghino sui traffici di armi per accertare se siano stati diretti all'Isis e se la Turchia non controllava le frontiere volutamente per farli passare. Sarebbe un messaggio forte al mondo: se un giornalista viene fermato, imprigionato, gli altri completeranno il suo lavoro.

Vorrei che la stampa libera parlasse anche dei 35 giornalisti in prigione».

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