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Quando il giudice denunciò il "metodo Grillo"

Nel 2013 l'ex comico e Casaleggio sconfissero Sgarbi in tribunale col «mero ostruzionismo»

Quando il giudice denunciò il "metodo Grillo"

Un meccanismo che si può riassumere con una parola: scaricabarile. E che si può sintetizzare con un gioco di parole, quasi un bisticcio: Beppe Grillo non è responsabile del blog www.beppegrillo.it. E neppure lo è la Casaleggio associati, cervello del Movimento: nello studio milanese, quartier generale dei 5 Stelle, dicono di saperne meno di lui. È il classico passaggio del cerino che alla fine brucia le dita di chi ha cercato di portare in tribunale il comico genovese, ritenendosi diffamato e chiedendo un risarcimento. Nel 2013 il giudice di Macerata Corrado Ascoli aveva già smascherato le manovre dilatorie del duo Grillo-Casaleggio, in quel caso Gianroberto: la coppia aveva seminato con una cortina fumogena un Vittorio Sgarbi furioso che voleva giustizia. Ascoli aveva bacchettato Grillo e Casaleggio sottolineando «l'attitudine improntata a mero ostruzionismo» e rimarcando «la contemporanea e sinergica eccezione» con cui i due avevano buttato la palla in tribuna, dichiarando di non avere alcun controllo del blog e dunque di non avere alcuna responsabilità per le scritte offensive postate in bacheca contro il celebre critico.

Una situazione surreale che anticipa di quattro anni la denuncia del tesoriere Pd Francesco Bonifazi: «Grillo non è il direttore né il responsabile né il provider né il titolare del suo blog».

Cosi sguscia via ogni volta che si cerca di portarlo in tribunale.

Bonifazi si trova ad inseguire un fantasma, come Sgarbi che nel 2013 aveva cercato invano di acchiappare due ombre: Gianroberto Casaleggio, oggi scomparso, e Beppe Grillo.

In realtà le lamentele di Sgarbi risalgono addirittura al 2009 quando il blog di Grillo diventa il trampolino di lancio di frasi volgari all'indirizzo di Sgarbi. Lui chiede che quelle parole oltraggiose siano rimosse, ma non succede nulla. Passano gli anni e nel 2013 l'avvocato Giampaolo Cicconi, storico legale del Vittorio nazionale, tenta la strada del ricorso d'urgenza. L'obiettivo è Casaleggio senior che però si defila con una nota puntigliosa: «Casaleggio associati non ha alcuna possibilità né obbligo di intervenire sul contenuto dei messaggi». E ancora: «Unici responsabili della eventuale portata diffamatoria delle espressioni utilizzate sono... gli autori dei commenti o il signor Grillo». Insomma, Sgarbi ha sbagliato indirizzo. Cicconi non si arrende e prova a chiamare in causa il garante dei 5 Stelle, come suggerito da Casaleggio. Ma anche lui si divincola dalla stretta: «Il signor Grillo non è proprietario del blog e non è titolare del nome a dominio www.beppegrillo.it, con la conseguenza che al signor Grillo non può essere imputato il contenuto di quanto i partecipanti al blog scrivono né ordinata la cancellazione in tutto o in parte di tale contenuto».

Siamo al gioco dell'oca giudiziario, con una nota paradossale: le due memorie, quella di Grillo e l'altra di Casaleggio, portano lo stesso timbro: quello dello studio legale ambrosiano Squassi e Montefusco. C'è da stropicciarsi gli occhi.

Cosi il giudice, pur considerando fuori termine l'arma del ricorso d'urgenza e invitando Sgarbi a procedere con un processo civile ordinario, stigmatizza «il mero ostruzionismo» del vertice pentastellato e la «contemporanea e sinergica eccezione di carenza di legittimazione passiva» sollevata dai due. La difesa del comico e del guru è un mantra ripetuto all'infinito: «Noi non c'entriamo».

Una specie di fuga concordata dal processo che non fa onore ai leader di un partito che vuole governare l'Italia.

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